di Michele Andreucci

Osio Sotto, 9 dicembre 2012 - Un alpino dal cuore d’oro e dall’immensa generosità. Una penna nera di vecchio stampo: carattere forte e grande attaccamento ai valori del Corpo. Riconoscente allo Stato perché, come sottolinea sempre, «l’anno trascorso sotto la naja è stato il migliore della mia vita e mi ha aperto gli occhi. I giovani di oggi dovrebbero provarla, altro che storie». Giovam Battista Gherardi, 52 anni, bergamasco di Osio Sotto, nella vita di tutti i giorni è un artigiano edile ma i 12 mesi passati, nel 1980, con addosso la divisa di artigliere alpino nella caserma Menini De Caroli di Vipiteno non li ha mai dimenticati. Tanto che ogni anno, durante l’estate, va in Alto Adige per rivedere quella che considera la «sua seconda casa». Così ha fatto anche quest’anno, a giugno. E proprio da qui prende il via la storia che lo vede protagonista e che sarebbe probabilmente piaciuta a Mario Rigoni Stern, uno dei massimi cantori del mondo degli alpini.

«Come ogni volta ho raggiunto la mia ex caserma — racconta Gherardi, sposato con una donna peruviana e papà di due bellissimi bambini, Gabriel e Victor — e ho notato il degrado in cui versavano i viali e le piazzole interne: c’erano buche dappertutto. Insomma era in uno stato pietoso. Allora ho chiesto al comandante perché non provvedevano a rimettere a posto il tutto e mi sono sentito rispondere che non avevano i soldi necessari. Non ci ho pensato due volte. Visto che nella mia professione mi occupo anche di manutenzione di strade, ho proposto di occuparmi io dei lavori. Ho chiesto solo che il reggimento ci mettesse l’asfalto, al resto avrei pensato io, gratuitamente».

«Ad agosto — continua Gherardi — mi è arrivato l’ok e il 22 mi sono presentato a Vipiteno con un autocarro, una piccola ruspa, una piastra vibrante, badili e picconi, gli attrezzi del mio lavoro. La caserma mi ha assegnato cinque o sei alpini per darmi una mano. Non solo. Mi hanno anche fornito una stanza, con bagno e doccia e il vitto. Per dieci giorni sono tornato praticamente a fare il militare e a dormire in branda».

Alle otto in punto era presente all’alzabandiera con i militari, quindi un caffè veloce allo spaccio e via al cantiere. «La prima settimana ho lavorato tre giorni di fila, poi mi hanno concesso un permesso premio, il cosiddetto 48 bis, per tornare a casa dalla mia famiglia — racconta —. La seconda settimana, invece, è stata più tirata. Ma alla fine ce l’ho fatta e ho portato a termine il mio impegno. In tutto 540 quintali di asfalto e 200 di materiale stabilizzante, quello che serve da mettere sotto, per riempire risparmiando asfalto».

«È stata una soddisfazione enorme — sottolinea Gherardi —. Finalmente ho potuto ammirare la mia vecchia caserma rimessa a nuova, come quella di una volta quando, a Vipiteno, di alpini ce n’erano duemila e non duecento». E come ringraziamento per il lavoro svolto, Gherardi è stato invitato a schierarsi, con tanto di cappello alpino, con il battaglione Morbegno durante la cerimonia organizzata per festeggiare la conclusione dei lavori. «Una grande emozione — ricorda Gherardi —, mi è sembrato di tornare indietro nel tempo, quando, con i miei compagni di allora, eravamo felici di essere a Vipiteno».