Brescia, 5 ottobre 2012 - Hanno organizzato addirittura dei turni, per vigilare, dalla torretta adiacente al cantiere, sui lavori di conferimento dei rifiuti nella famigerata discarica d’amianto. Pensionati, insegnanti, impiegati, che, finito il turno in ufficio, attaccano con quello di monitoraggio sull’ambiente. Nonostante il Consiglio di Stato debba ancora pronunciarsi sul ricorso presentato dal Codisa contro la Profacta per la discarica d’amianto di via Brocchi, il conferimento delle lastre è già partito venerdì 28 settembre, con tanto di autorizzazione della Regione e chiusura della strada comunale.
«In Regione – spiega Angelamaria Paparazzo, presidente del Codisa – sanno benissimo che sarebbero necessari altri accertamenti, perché la falda continua a salire. Eppure, lasciano fare». Assordante, per i residenti, il silenzio del Comune: non sono piaciute le parole dell’assessore all’ambiente Paola Vilardi, secondo cui «se la Regione ha rilasciato il permesso, vuol dire che è tutto in regola». Eppure, già lunedì 1 ottobre, i cittadini hanno registrato irregolarità nella procedura di conferimento. «Ma chi c’era a vigilare? Solo noi – continua Paparazzo – dov’erano le autorità?».
Qualcuno ha sollevato anche qualche dubbio su un camion che porta i rifiuti, un bilico scoperto («ma non doveva essere blindato?»). «Vorremmo che si procedesse — spiega Mario Pisegna — non con l’interramento dell’amianto ma con l’inertizzazione. Evidentemente c’è l’interesse a continuare a interrarlo».
I cittadini, del resto, ne sono certi: in via Brocchi, le norme non sono state rispettate.
Tutto si gioca sulla qualifica della discarica: alla ditta è stata data l’autorizzazione per deposito di inerti, che per legge possono essere a 100 metri dalle case (le prime abitazioni sono a 110 metri). «Ma l’amianto è un materiale pericoloso — spiega Barbara Della Fiore, del Comitato Spontaneo contro le nocività – A renderlo non pericoloso è solo il celophan che avvolge le lastre. Ma la plastica non è un materiale durevole e si consumerà in breve tempo. Hanno cambiato il nome allo sporco per poterlo nascondere sotto il tappeto».
Brucia, poi, la promessa non mantenuta dal sindaco: i lavori, aveva detto il primo cittadino qualche mese fa, non inizieranno finché non arriverà il pronunciamento del Consiglio di Stato. E invece sono cominciati: e se avessero ragione gli ambientalisti, chi riparerà al danno? «Il fatto è che in Italia le cose si fanno male – commenta Luciano Ferrari, residente – per risparmiare, le aziende giocano con la nostra salute». «Il problema – aggiunge Carla Ughini – è che quello di San Polo e Buffalora è un contesto già degradato, tra discariche, Cesio, tangenziale». Ma, per tanti che si mobilitano, ce ne sono altrettanti che della discarica ne sanno ben poco. «Credo che la gente – conclude Mariagrazia Pansera – sia scoraggiata, sembra di combattere contro i mulini a vento».
di Federica Pacella
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