Brescia, 27 novembre 2013 - Brescia come Taranto. Anche qui ci si ammala per l’inquinamento. Ma se attorno all’Ilva esplode la rabbia, a Brescia sembra che ci si sia assuefatti anche al Pcb. Tanto che ai controlli predisposti dalla Asl, 6 bresciani su 10 non si sono presentati. Del resto, se dopo 12 anni non c’è ancora un piano per le bonifiche, l’impressione è che non ci sia di che preoccuparsi. Eppure, il Sito d’interesse nazionale Caffaro, istituito nel 2003, è uno dei più inquinati al mondo. Un’area di 7 chilometri quadrati, compresi nel «cono Caffaro», che ha al vertice l’azienda di via Milano, a due passi dal centro di Brescia. La Caffaro aveva iniziato a produrre Pcb nel 1932, interrompendo l’attività nel 1983; nel 1985 è stata inglobata da Snia-Bdp. Nel 2001 una ricerca dello storico ambientalista Marino Ruzzenenti, pubblicata su La Repubblica, rivela che in 50 anni sono finite nelle acque bresciane 150 tonnellate di Pcb.
Attorno allo stabilimento abitano 25mila persone: il caso esplode. Partono le indagini di Asl e Arpa. Sotto la fabbrica, si scopre che gli inquinanti tossici imbevono il terreno fino a 30 metri; nella falda, il Pcb è 543 volte sopra i limiti. Ma è solo l’inizio. Si apprende che, attraverso le rogge, il Pcb è arrivato nei campi agricoli e nei Comuni a Sud di Brescia.
E, tramite gli ortaggi coltivati nei terreni contaminati, ha raggiunto l’uomo: il Pcb è oltre i limiti nel 67% dei residenti delle zone vicine all’azienda e nel 18% di chi abita lontano. Il Comune cerca di interrompere la catena alimentare, con un’ordinanza d’emergenza, reiterata ogni sei mesi, in cui si vieta di coltivare e allevare nei terreni del Sito. Ma quali sono gli effetti del Pcb sulla salute? Ad aprile 2013 il Pcb è stato inserito dallo Iarc tra gli inquinanti cancerogeni. È assodata la correlazione col melanoma ed è probabile quella con linfomi non-Hodgkin e tumore alla mammella.
Brescia spicca in negativo per i tumori al seno (+12%) e al fegato (+68%) rispetto al Nord Italia. Il Ministero della Salute: «Il profilo di mortalità nel sito Brescia-Caffaro si caratterizza per un eccesso dei linfomi non-Hodgkin negli uomini». Altro capitolo della vicenda è la gestione dello stabilimento. Per evitare che la falda intercetti il terreno inquinato sotto la Caffaro, è necessario emungere le acque, operazione che costa oltre 1 milione all’anno, di cui si sono sempre occupati i privati: la Snia prima (che ha messo in liquidazione la società nel 2009), la Caffaro Brescia Spa dal 2011. A luglio 2013 l’annuncio che l’azienda traslocherà entro fine anno.
Gli enti pubblici dovrebbero farsi carico dell’emungimento. Ma con quali soldi? Sarebbero subito erosi i 6,7 milioni stanziati nel 2007 per la bonifica delle aree agricole, ma rimasti congelati fino al 2013 per intoppi burocratici. Ad aprile 2013, la trasmissione Presadiretta ha riacceso l’attenzione della politica sul caso, facendo delle bonifiche la priorità del nuovo sindaco, Emilio Del Bono, che ha già stanziato 2 milioni per i parchi pubblici nel 2013-2014. A bilancio anche 2 milioni per tentare la bonifica del parco Calvesi. Quanto al piano complessivo della bonifica, bisogna ripartire da zero con le analisi. Con un finanziamento regionale, a settembre sono iniziate quelle dell’Asl, a novembre quelle di Arpa. 1.100.000 euro è arrivato a novembre dal Ministero dell’Ambiente. Bonificare il Sito non è impresa semplice, e non ci sono precedenti di questo genere nel mondo. È tempo che Brescia ci provi.
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