Turate (Como), 7 maggio 2014 - Ha attraversato mezza Italia, per essere fuso sottobanco. Di quei lingotti, non è rimasta nessuna traccia, ma i pochi elementi che hanno permesso di seguire il suo percorso, portano fino a Caserta, importante distretto di acquisto e lavorazione dell’oro. Venti barre di prezioso metallo da 12 chili l’una, in buona parte grezze e non punzonate, che viaggiavano in autostrada la mattina del 7 aprile dello scorso anno. Valore dieci milioni di euro. Erano dirette a Lugano, trasportate da un furgone blindato della Battistolli, che venne assaltato all’altezza dell’uscita di Turate dell’autostrada A9, Milano-Chiasso, partito poco prima da Paderno Dugnano.

Dopo mesi di indagini complicatissime, basate sulla ricostruzione e incrocio di milioni di utenze telefoniche, la Squadra Mobile di Como, coordinata dal sostituto procuratore Antonio Nalesso, è arrivata a individuare i due capi bella banda armata, ritenuti i principali referenti di quel gruppo armato di kalashnikov che aveva esploso decine di proiettili contro i blindati. Per Antonio Agresti, 42 anni, pugliese di Adria, e Giuseppe Dinardi, 50 anni, anche lui origini pugliesi ma residente a Cologno Monzese, arrestati a inizio gennaio, si stanno per concludere le indagini, ma nel frattempo, di quel carico d’oro si sono perse le tracce. Alcuni elementi emersi in mesi di ricostruzioni degli spostamenti di quegli uomini, hanno condotto fino alla zona di Caserta, e in particolare a Marcianise, dove è stata individuata una fonderia orafa.

Tuttavia, nonostante il tentativo di capire se effettivamente una parte dei lingotti fossero finiti lì dentro, per poi uscirne completamente riciclati nel giro di qualche ora, gli investigatori non sono riusciti da averne la certezza. Tutta la documentazione fiscale e di carico e scarico è stata analizzata senza esito, ma anche altre verifiche non hanno portato a nulla. I sistemi di videosorveglianza, quando la polizia è arrivata fin lì, avevano già sovraimpresso centinaia di immagini, e non esiste monitoraggio di chi entra e chi esce come accompagnatore. Impossibile quindi accertare questo passaggio, anche se rimane fortemente ipotizzabile, ma in ogni caso, i lingotti ormai nuovi di zecca hanno preso strade inimmaginabili, non più corrispondenti alla lega originaria e pronti a essere trasformati in denaro contante. A distanza di mesi da quel colpo epocale, sul quale sono state fatte le più svariate ipotesi, quella più accreditata rimane la più semplice: dopo la spartizione del bottino, ogni rapinatore ha trovato il modo di fondere e rendere anonima la propria parte di oro, facendola sparire definitivamente. Ma senza mai uscire dall’Italia.