Segrate, 22 maggio 2011 - «Succhiasangue», «vampiri rossi», «dissanguatori». Molti i nomignoli più o meno simpatici appioppati dagli automobilisti ai teleobbiettivi di guardia ai semafori, ma sempre dei famigerati T-Red si parla. E allora, per difendersi dall’occhio di telecamere che più che intelligenti si possono definire «furbe», alcuni segratesi hanno deciso di fare fronte comune costituendosi parte civile nell’eventualità di un processo a carico di sindaco e vertici della polizia locale accusati di turbativa d’asta e abuso d’ufficio. Nel 2006 le prime multe, a pioggia, con l’installazione dei T-Red sulla strada provinciale Cassanese. Tempo nemmeno un anno, e già l’ottobre successivo le stesse telecamere sono state sequestrate dalla guardia di finanza. «Il nostro obiettivo è quello di fare giustizia - commenta Franco Fabietti, cittadino segratese ed ex comandante della polizia locale -. I cinque T-Red hanno funzionato per circa 330 giorni, 24 ore su 24, contrariamente a quanto stabilito dall’art. 169 del regolamento di esecuzione, rilevando circa 35mila fotogrammi». Facciamo due calcoli: «Se tutte le foto fossero risultate attendibili si sarebbe arrivati, in un solo anno, a mettere in cassa qualcosa come 5 milioni di euro. Mica male».

E allora lo stesso Fabietti, insieme a un altro cittadino - Luciano Stoppani - e all’avvocato Francesca Fuso, ha deciso di formare una squadra per raccogliere tutti quei cittadini che ritengono ingiuste le multe recapitate nelle loro caselle di posta. «Sono arrivati in 180 - racconta soddisfatto Fabietti -, tutti con fotocopia dei verbali, ricevute di pagamento, ricorsi al prefetto o al giudice di Pace e un valido documento di identità per convalidare la firma». Obiettivo? Semplice, «vogliamo assistere i multati dal Comando di polizia locale di Segrate fino alla conclusione giudiziaria, costituendoci parte civile in caso di processo». Poi un’ulteriore precisazione: «Né il sindaco Adriano Alessandrini, né l’assessore alla Polizia locale Benito Ruju e né tantomeno il comandante dei ghisa Lorenzo Giona si sono mai interessati a confrontarsi con i cittadini» anche perché, come hanno ribadito i protagonisti in diverse occasioni, secondo loro tutto è stato fatto a norma di legge e a regola d’arte, con il solo scopo di garantire la sicurezza agli utenti della strada e a ridurre gli incidenti. Non, come viene contestato loro, per fare cassa. Tant’è, per il momento i fatti dicono che il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ha chiesto il rinvio a giudizio dei tre indagati: Adriano Alessandrini, Lorenzo Giona e il suo vice Dario Zanchetta.