Milano, 1 luglio 2012 - L'idea dell’Expo a Milano mi emozionò nel 2008 quando ci fu l’assegnazione e ancor più nel 2012 a Shanghai, quando visitai l’interpretazione cinese di questo straordinario evento. È una opportunità per dare un’accelerazione, per liberalizzare, per permettere di costruire e di restaurare. Milano viene da 40 anni di immobilismo. E i milanesi si sono abituati al niente. Finalmente le cose possono cambiare. Da Berlino a Basilea, da Amsterdam a Bilbao sono tante le città europee che negli ultimi anni hanno mutato radicalmente in meglio il loro aspetto. Proviamoci anche noi, pensai.
Purtoppo, oggi possiamo dichiarare senza paura di essere smentiti che siamo in ritardo: dobbiamo prendere atto che la gestione è stata disastrosa. A tre anni esatti dall’apertura, sono in corso solo i primi movimenti di terra, i cosiddetti “lavori provvisionali” che sono quattro ruspe che girano a vuoto. Praticamente i lavori sull’area espositiva non sono cominciati. E non si vedono all’orizzonte i miglioramenti dei collegamenti via aria e via terra: il sistema aeroportuale del nord Italia è da terzo mondo.
Spicca Malpensa, una delle macchie più brutte della storia italiana. Gli altri scali da Torino a Brescia, da Verona a Bologna non sono in condizioni migliori. La rete stradale questa è e questa rimarrà. La metropolitana che sarebbe dovuta arrivare fino al sito, per ora non si muove. Soprattutto mi spiace che non si aprano le vie dell’acqua, la navigazione sui navigli che avrebbe riportato Milano allo splendore di secoli fa, esercitando una attrattiva irresistibile per i turisti. Un richiamo al passato che sicuramente sarebbe diventato il vero simbolo dell’Expo.
Una delle cause dell’attuale impasse è stata togliere l’incarico a Thomas Herzog, vincitore del Pritzker Prize equivalente al premio Nobel per l’architettura. Herzog è universalmente stimato e riconosciuto come un fuoriclasse e avrebbe saputo dare l’impostazione vincente al progetto.
In una fase critica dell’economia mondiale e europea in particolare, l’Expo non ha bisogno di grandeur. I cinesi dovevano dimostrare la loro grandezza. Noi non dobbiamo dimostrare niente, dobbiamo solo far vedere quel che il mondo chiede di vedere: il gusto e lo stile italiano. Il mondo intero studia la nostra storia, visita la nostra architettura, veste Armani, sogna Ferrari, ammira il design del nostro Paese. Non è un caso che il padiglione italiano sia stato fra i più visitati a Shanghai e che i ragazzi americani, canadesi e australiani chiedano un viaggio in Italia come premio per la laurea.
Ce la faremo? Gli italiani sono capaci di tutto, come evidenzia in queste ore la metafora della nazionale di calcio: persa tre a zero l’ultima amichevole prima del torneo, mediocre il girone, battuta l’Inghilterra, annientata la Germania. Siamo in finale per orgoglio, per una estrema presa di coscienza dei nostri mezzi e della nostra classe. Gli stessi fattori che ci potrebbero permettere di ospitare un Expo di qualità e di successo.
dell'architetto Dante Benini
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