di Giulia Bonezzi
Milano, 8 luglio 2012 — Un giallo accende i colori scuri cari al Caravaggio; un giallo milanese, nell’eco planetaria dello studio di Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, deflagrato via ebook tra le polemiche del mondo dell’arte. Si consuma al primo piano del Castello Sforzesco, nel Gabinetto dei disegni dove si trovano i 107 del Fondo Peterzano che i due storici dell’arte attribuiscono a un Merisi adolescente.
Le opere del Gabinetto - 28 mila - non sono esposte, ma consultabili su prenotazione, sotto il controllo e la responsabilità della conservatrice Francesca Rossi. Che ha dichiarato di non averli mai visti. Ergo, non avrebbero esaminato i disegni dal vivo; condizione sufficiente, per molti critici, a invalidare la loro scoperta clamorosa. Curuz ha risposto duramente («È in malafede, si dimetta»), aggiungendo di aver visitato più volte il Gabinetto, fuori dall’orario d’ufficio, con l’aiuto di un «funzionario di alto livello». E ora Palazzo Marino vuol vederci chiaro. La posizione sulla scoperta è cauta ma aperta, il comitato scientifico del Peterzano (ne fa parte Giulio Bora, solo uno degli esperti di fama che l’hanno scandagliato senza individuarvi Caravaggio) si riunirà domani per esaminare la ricerca in due volumi distribuita su Amazon.
Ma anche l’Avvocatura si è attivata e non è esclusa un’indagine interna sulle asserite visite fuori registro al Gabinetto. Tra l’altro i Caravaggio, secondo i loro scopritori, varrebbero nel complesso 700 milioni di euro. «Non abbiamo fatto nessuna irruzione, niente d’illegale - ribatte Curuz -. Tutto è avvenuto in una situazione totalmente protetta. E andavamo a colpo sicuro». Ripercorre il lavoro preventivo, «su fotografie ad alta risoluzione che non provengono dal Gabinetto» oltre che sulle riproduzioni delle 1.378 opere del Fondo che il Comune conferma d’aver consegnato in floppy disk, previa richiesta, a una loro collaboratrice.
Ma perché non chiedere un appuntamento? «Dovevamo muoverci con rapidità. Ha presente la posta in gioco? - risponde lo studioso - Anche nella chiesa di San Barnaba, dove siamo entrati per vie normali, abbiamo gettato fumo sul nostro vero obiettivo. E ci siamo fatti aiutare da alcuni colleghi per non dare nell’occhio. Eravamo certi di aver trovato materiale di grande interesse, perciò volevamo mantenre il segreto. È come un’inchiesta giudiziaria». Sull’eventuale falla nella sicurezza assicura: «Non sono Zorro, ma non è che chiunque possa entrare. Queste sono polemiche capziose, di una signora che era seduta su Caravaggio e non se n’è accorta, e di accademici che saranno fatti fuori da questa ricerca. Ci giudichino sul nostro lavoro».
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