di Daniele Monaco

Milano, 28 agosto 2012 — «Vuoi scoprire come si abborda una “cagna”? Vieni con me e ti faccio vedere». Detto fatto, «lei», un tizio mingherlino sulla cinquantina vestito da teenager, ti prende a braccetto e ti ci porta. Braccia esili di bronzo levigato, polsi ornati da braccialettini di cuoio e acciaio, mani curate come seta, adulatrici. Orazio, dice di chiamarsi così, si addentra sul viale del giardino accanto ai binari della stazione Cadorna. La luce giallo-opaco dei lampioni penetra a stento tra gli alberi, creando vaste zone di buio. «Non avrai mica paura – incita Orazio -. Chi ci rimette di più a farmi vedere con voi due etero sono io, che qui faccio la “zoccola” di tutti ogni giorno».

Milano, via Emile Zola, ore 23 di una domenica d’estate qualsiasi: benvenuti alla «Fossa» degli omosessuali. Qui, dietro la facciata dormiente dello scalo Ferrovie Nord, appena otto ore prima che cominci la transumanza settembrina dei pendolari, brulica un sottobosco metropolitano popolato da soli uomini. Giovani, anziani e adulti. Vengono dai quattro angoli della città per consumare rapporti sessuali occasionali. Di ogni tipo. Sperando di trovare qualche faccia nuova: «Beh... Due come voi non passano certo inosservati». Orazio prova a lusingare.

La selva del peccato è una striscia verde che si allunga tra la ferrovia e il parco Sempione. In lontananza l’eco delle note dell’Old Fashion e il profilo violaceo della Torre Branca. Fra i prati, nell’oscurità, ombre brancolano nel buio, seguendo direzioni senza senso apparente. Alcune passeggiano. Altre, timide, paurose o in conflitto con la propria coscienza, procedono spedite. Sono italiani e osservano cosa offre il mercato. A bordo pista c’è chi sta in piedi fermo accanto agli alberi. Fra questi, molti africani e qualche indocinese.

Scrutano chi gli piace e lo seguono. È un reciproco scegliersi in un gioco di sguardi e di movimenti in un silenzio irreale. Due amanti hanno stabilito di consumare sesso in cima a una collinetta che dà sulla ferrovia, a cielo aperto. Altri si siedono nell’erba, i più frenano l’istinto esibizionista e si rifugiano sotto il viadotto Marie Curie. «Questa è la nostra “camera ardente” – indica Orazio -. Nessun tariffario. Alcuni, alla fine, chiedono semplicemente un regalino. Oppure se lo prendono».

Orazio ha un lavoro rispettabile, non è un «marchettaro», si offre per piacere: «Spesso qualcuno non ha da pagare, oppure viene con tanto di rolex o braccialetti d’oro. Così si ritrova con le tasche vuote e la testa fracassata dai magrebini che battono qui». Al suo fianco, un amico con cui poco prima parlava di latino e di Chiesa, aggiunge: «Quando arriva la polizia scappano tutti. Sono clandestini. Poi ritornano. Noialtri dobbiamo unirci contro di loro e smetterla di subire. Siamo a rischio, abbiamo paura».

Già, perché la stazione Cadorna è nel cuore della Milano borghese ma resta pur sempre un luogo insidioso per i deboli che vi trovano rifugio e pericoli. A notte fonda quattro clochard dormono sulle panchine di pietra sotto le pensiline nel piazzale a 200 metri dalla Fossa. Furtivo, un nordafricano si avvicina al giaciglio di una disperata e pizzica il lembo di una busta azzurra, sollevandola silenziosamente. Inutile distoglierlo dal turpe gesto: «Ti taglio la gola», risponde con gesto minaccioso.

Dentro la stazione, intanto, un senzatetto lotta contro la malattia e l’alcool. Ha sentito una fitta al cuore e la guardia giurata di pattuglia con il suo pastore tedesco ha chiamato il 118. I soccorritori misurano la pressione del poveretto. Lo porteranno al San Giuseppe, un po’ per accertamenti e un po’ per carità. Il piazzale è anche ricettacolo di facce poco raccomandabili. Venti giorni fa una svizzera 21enne è stata avvicinata da due romeni che l’hanno poi violentata nelle campagne di Carugate. «Il bar sotto le pensiline è un ritrovo per alcuni brutti ceffi dell’est. Fra pochi giorni riaprirà e vedremo anche un sacco di risse fra ubriachi», assicurano amareggiati due tassisti in servizio notturno.

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