Milano, 18 ottobre 2013 - Sedriano, primo comune della Lombardia sciolto per mafia. Capitolo di una storia che viene da lontano, da giorni quando parole come mafia e ’ndrangheta suonavano ancora incongrue e offensive, come una bestemmia in chiesa, alle orecchie degli onesti, laboriosi lombardi.

L’intercettazione è del 13 giugno 2008. Due affiliati colloquiano e conteggiano: «Cecè, vedi che siamo 500 uomini qua: ci sono venti “locali”». Il dato numerico è impressionante: la ’ndrangheta ha impiantato venti «locali», ossia venti cosche in Lombardia. Non solo a Milano e Pavia, ma anche nell’hinterland metropolitano, in cittadine come Seregno, in Brianza, e Canzo, provincia di Como. Saldamente legate alle case madri in Calabria. Perché ogni tentativo autonomista è stato frantumato e l’onta lavata con il sangue.

È l’agosto 2007 quando Carmelo Novella diventa il capo della «Lombarda», tanto potente da osare l’inosabile. Vorrebbe emanciparsi, affrancarsi dai capi che comandano dalla Calabria. Il 14 luglio 2008 due sicari arrivati in Kawasaki lo freddano nel bar Combattenti e Reduci di San Vittore Olona. Morto Novella viene nominato un reggente. È Giuseppe Neri, l’«avvocato Pino», calabrese di Giffone, nel Reggino. Avvocato lo è davvero e titolare di uno studio di consulenza a Pavia. Da lì, scrivono i magistrati, tesse «una rete relazionale che lo porta a interfacciarsi con politici, imprenditori, liberi professionisti».

È il nuovo corso. Quelli che i carabinieri di Monza filmano fra il 2007 e il 2009 sono autentici summit. Il più importante si svolge il 31 ottobre 2009 al centro per anziani Falcone e Borsellino di Paderno Dugnano, organizzazione meticolosa curata da Vincenzo Mandalari di Bollate, due rappresentanti per ogni «locale» chiamati a eleggere il nuovo «mastro generale». È Neri a proporre il nome del suo successore: Pasquale Zappia.

Nel luglio 2010 i 305 arresti dell’operazione «Infinito» disarticolano la strutta regionale e svelano il nuovo volto della ’ndrangheta calabro-lombarda: rivestita con il doppiopetto, aspetto perbenista. Attività imprenditoriali, ambizioni politiche. Altro che infilitrazioni. L’operosa Lombardia ha aperto le porte ai clan, ne ha assunto, aiutato, spesso riverito gli uomini, da Milano alla cattolicissima Brianza, fin sotto il Resegone. Appalti, mattoni, usura.

C’è arrembaggio di Expo, ma anche dei lavori per la succursale del tribunale di Milano o per la variante della statale dello Stelvio, ci sono ospedali e interi quartieri all’ombra della Madonnina. È la fotografia impressionante di una società civile inquinata, quando non collusa, con il potere mafioso. Fragorosi i contraccolpi, anche politici. A Desio, dopo tre assessori, si dimettono sei consiglieri della Lega e sedici della minoranza.

E si sale, nell’empireo politico. Ha un nome che potrebbe ricordare una favola, «Grillo», l’operazione che nell’ottobre dello scorso anno porta in carcere Domenico Zambetti, assessore regionale Pdl alla Casa, e altri ventinove. Zambetti è accusato di avere chiesto voti alle cosche storiche del Nord dei Barbaro-Papalia e dei Morabito-Palamara-Bruzzaniti, pagando almeno 4.000 voti con 200mila euro versati in tre rate. La stessa indagine costa tre mesi di arresti domiciliari a Alfredo Celeste, sindaco Pdl di Sedriano.

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