Milano, 13 gennaio 2014 - Voleva vivere all’occidentale. Oggi Karima (nome di fantasia) ha 23 anni e se lo può permettere, se vuole. Ma anni fa, quand’era solo una ragazzina e pensava di poter rifiutare un certo modo di esistere troppo legato alle tradizioni musulmane, i suoi genitori glielo impedivano con le urla e soprattutto con le botte, rendendole la vita un inferno. Papà e mamma, origini marocchine, lui oggi 58, lei 44 anni, stando alle indagini della procura erano i suoi veri e propri aguzzini. Ora davanti al tribunale dovranno difendersi entrambi dalle accuse di maltrattamenti e lesioni personali.
Stando alle denunce della stessa Karima, dopo che i servizi sociali erano intervenuti presso la famiglia nell’hinterland milanese, la ragazza avrebbe subito dai genitori vessazioni morali, psicologiche e fisiche, fino alla costrizione ad abortire, quando poco più che bambina era rimasta incinta. La lunga serie di maltrattamenti che la giovane avrebbe sopportato, risale al periodo tra il 2002 e il 2007, quando Karima aveva tra i 12 e i 17 anni. Il coraggio per raccontare le violenze subite l’ha trovato solo anni dopo, ormai grande.
I genitori, una volta scoperto che aspettava un bambino, prima di farla abortire l’avrebbero segregata in casa, legandola al letto. La picchiavano selvaggiamente anche perché spendeva troppo in telefonate e la mamma per prima faceva di tutto per umiliarla, «privandola del necessario apporto affettivo - si legge nel capo d’imputazione - e della giusta considerazione all’interno della famiglia, discriminandola rispetto al fratello». Il motivo era sempre lo stesso: Karima voleva vivere all’occidentale, i genitori invece «pretendevano che assumesse modelli di vita, tradizioni e comportamenti dalla stessa rifiutati e ritenuti incongrui rispetto alla propria personalità».
Erano due mondi lontani anni luce che si scontravano. Ma per difendere il loro, i genitori non avrebbero trovato di meglio che ricorrere alla violenza pura contro il tentativo della figlia di tenere «comportamenti medi diffusi nella società nazionale con riferimento alla fascia generazionale cui appartiene la parte lesa», come osserva il pm Adriana Blasco nell’imputazione contestata alla coppia nordafricana.
Il risultato, secondo l’accusa, fu l’instaurazione violenta di «un sistema di vita caratterizzato da violenza e prevaricazione morale, idoneo a ferire gravemente la dignità della persona offesa, cagionandole penose sofferenze, anche di ordine psicologico». Il processo ai due genitori prende il via martedì.
di Mario Consani
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