Milano, 27 dicembre 2016 - Costringere i propri camionisti a truccare i tachigrafi dei tir e a rimanere alla guida fino allo stordimento - mettendo così in pericolo la propria vita e quella degli ignari automobilisti - è reato. Violenza privata, secondo il giudice Emanuela Rossi, che ha condannato in primo grado a due anni (con la condizionale) Giampaolo Vercesi, titolare di un’azienda di autotrasporti tra Pozzuolo Martesana e Vignate, alle porte della metropoli. Per ordine della settima sezione del tribunale, Vercesi dovrà anche versare subito 3 mila euro a cinque suoi ex dipendenti, parti civili nel processo, come anticipo sul risarcimento danni che verrà stabilito in seguito da un giudice. L’imprenditore, poi, dovrà affrontare a breve un altro processo per le stesse vicende, stavolta con l’accusa (in un primo tempo caduta ma poi ribadita dalla Cassazione) di aver dolosamente rimosso strumenti destinati a prevenire “disastri o infortuni sul lavoro”.
Le storie sono quelle quasi incredibili - e già riferite dal Giorno - che una decina di camionisti ex dipendenti della ditta Vercesi, alcuni assistiti dall’avvocato Attilio Giulio, hanno raccontato al giudice nel corso delle loro testimonianze. «Noi eravamo degli assassini – mise a verbale uno degli autisti – eravamo delle bombe vaganti perché non si può dormire due ore a notte (...) Neanche un ragazzo di vent’anni lo può fare, a meno che non prenda delle sostanze stupefacenti». Dentro ai camion, infatti, i turni massacranti arrivavano anche fino a 20 ore al giorno. E lì dentro, dove mangiavano e dormivano, si svolgeva la vita degli autisti anche nel fine settimana, quando usavano il tir anche per tornare nei paesi e nelle città dove abitavano, sempre alla guida. Altrimenti avrebbero dovuto pagarsi un albergo o un letto magari a mille chilometri di distanza da casa. Per mantenere quei ritmi folli - era l’accusa del pm Maura Ripamonti - gli autisti erano costretti ad aggirare le leggi che fissano tempi massimi al volante e riposi obbligati. E così il datore di lavoro preparava loro false lettere di vacanze mai fatte, da consegnare alla polizia stradale in caso di controlli. E appena assunti insegnava loro come infilarsi sotto il sotto il camion per piazzare nel cambio un piccolo magnete che mandava in tilt il tachigrafo: il tir risultava fermo, invece stava viaggiando. Rifiutarsi avrebbe voluto dire perdere il lavoro e un buono stipendio.