MARIO CONSANI
Cronaca

"Schiavizzava" i propri camionisti: condannato a 2 anni

Un camionista denunciò: "Eravamo bombe vaganti, potevamo uccidere"

Gli articoli dedicati dal Giorno all’inchiesta sui «camionisti schiavi» il 12 settembre

Gli articoli dedicati dal Giorno all’inchiesta sui «camionisti schiavi» il 12 settembre

Milano, 27 dicembre 2016 - Costringere i propri camionisti a truccare i tachigrafi dei tir e a rimanere alla guida fino allo stordimento - mettendo così in pericolo la propria vita e quella degli ignari automobilisti - è reato. Violenza privata, secondo il giudice Emanuela Rossi, che ha condannato in primo grado a due anni (con la condizionale) Giampaolo Vercesi, titolare di un’azienda di autotrasporti tra Pozzuolo Martesana e Vignate, alle porte della metropoli. Per ordine della settima sezione del tribunale, Vercesi dovrà anche versare subito 3 mila euro a cinque suoi ex dipendenti, parti civili nel processo, come anticipo sul risarcimento danni che verrà stabilito in seguito da un giudice. L’imprenditore, poi, dovrà affrontare a breve un altro processo per le stesse vicende, stavolta con l’accusa (in un primo tempo caduta ma poi ribadita dalla Cassazione) di aver dolosamente rimosso strumenti destinati a prevenire “disastri o infortuni sul lavoro”.

Le storie sono quelle quasi incredibili - e già riferite dal Giorno - che una decina di camionisti ex dipendenti della ditta Vercesi, alcuni assistiti dall’avvocato Attilio Giulio, hanno raccontato al giudice nel corso delle loro testimonianze. «Noi eravamo degli assassini – mise a verbale uno degli autisti – eravamo delle bombe vaganti perché non si può dormire due ore a notte (...) Neanche un ragazzo di vent’anni lo può fare, a meno che non prenda delle sostanze stupefacenti». Dentro ai camion, infatti, i turni massacranti arrivavano anche fino a 20 ore al giorno. E lì dentro, dove mangiavano e dormivano, si svolgeva la vita degli autisti anche nel fine settimana, quando usavano il tir anche per tornare nei paesi e nelle città dove abitavano, sempre alla guida. Altrimenti avrebbero dovuto pagarsi un albergo o un letto magari a mille chilometri di distanza da casa. Per mantenere quei ritmi folli - era l’accusa del pm Maura Ripamonti - gli autisti erano costretti ad aggirare le leggi che fissano tempi massimi al volante e riposi obbligati. E così il datore di lavoro preparava loro false lettere di vacanze mai fatte, da consegnare alla polizia stradale in caso di controlli. E appena assunti insegnava loro come infilarsi sotto il sotto il camion per piazzare nel cambio un piccolo magnete che mandava in tilt il tachigrafo: il tir risultava fermo, invece stava viaggiando. Rifiutarsi avrebbe voluto dire perdere il lavoro e un buono stipendio.