Milano, 28 ottobre 2016 - "Andiamo la e facciamogliela vedere. Io vengo, e porto uno che conosco". È sorprendentemente nato in maniera spontanea, "con il passaparola", il blitz dei dieci cittadini milanesi ora indagati per incendio doloso e detenzione illecita di materiale esplodente. Nel mirino l'edificio abbandonato in via Adriano, angolo via Mulas, periferia Nord di Milano, che è stato dato alle fiamme lo scorso 4 settembre.
Le indagini condotte dalla Digos di Milano hanno permesso di identificare sei persone, tutte residenti nella zona. Le loro case sono state perquisite e durante l'operazione è stato possibile risalire anche agli altri quattro complici. I dieci aspiranti incendiari hanno spiegato che il loro gesto è nato dal risentimento e dalla esasperazione per il degrado dello stabile e per scippi e atti di vandalismo avvenuti nella zona, di cui ritenevano responsabili gli occupanti del palazzo abbandonato. Per dar loro una lezione, i dieci indagati, che non si conoscevano bene ma hanno deciso di unirsi nella spedizione punitiva, hanno deciso di bruciare i pagliericci e gli averi dei migranti. Quando i fuochi sono stati accesi in due piani diversi, l'edificio era vuoto. Tra gli indagati, tutti incensurati, ci sono due dipendenti di un bar della zona, frequentato anche da altri componenti della banda.
"L'impressione è che gli indagati volessero fare solo un gesto dimostrativo, senza fare male a nessuno. Questo perché sono andati nello stabile alle 17.30, orario in cui era presumibile che non ci fosse dentro nessuno, e perché hanno esploso dei petardi, il cui rumore avrebbe eventualmente messo in fuga chi fosse stato presente". È quanto spiega il dirigente della Digos, Claudio Cicimarra. I dieci indagati si conoscevano tra loro solo di vista, perché si incrociavano nel quartiere o al bar della zona. La polizia non ha ancora ricostruito con esattezza quando hanno pianificato di darsi appuntamento per andare al dormitorio, se la mattina stessa o nei giorni precedenti. Una volta partite le indagini a seguito dell'incendio, gli agenti hanno identificato sei degli odierni indagati tramite le immagini delle telecamere di sicurezza della zona. Per loro il pubblico ministero Gianluca Prisco ha firmato un decreto di perquisizione e quando i poliziotti hanno trovato nei loro armadi gli abiti indossati durante la spedizione, hanno ammesso tutto, indicando anche gli altri quattro partecipanti che non erano stati ancora identificati. Ora su di loro pesa un'accusa pesante. Il reato di incendio doloso, infatti, prevede una pena da 3 a sette anni di carcere. Non è escluso, tuttavia, che dopo il deposito di una consulenza dei vigili del fuoco sugli oggetti bruciati, venga derubricata in danneggiamento aggravato.