Milano, 17 gennaio 2018 - Tre morti e un’altra persona in fin di vita. E altri tre per fortuna intossicati in maniera lieve. Sono i numeri drammatici della tragedia sul lavoro che si è verificata ieri pomeriggio nello stabilmento della Lamina spa di Milano, una ditta gestita dalla famiglia Sanmarchi che dal 1949 è specializzata nella produzione per laminazione a freddo di nastri di alta precisione in acciaio e titanio. Probabilmente è stato l’azoto, gas utilizzato abitualmente nella lavorazione di quel tipo di metalli, a causare l’incidente, anche se per adesso si tratta solo di ipotesi investigative; di certo si sa che i vigili del fuoco non hanno rilevato presenza di monossido di carbonio nei locali.
Ecco la ricostruzione, secondo quanto finora accertato dai carabinieri del Comando provinciale di Milano. Sono da poco passate le 16.30, siamo in via Rho, una stradina nel quartiere Greco, estrema periferia nord della città. Gli operai sono al lavoro nella zona «Cesoie», anche se il turno è finito da mezz’ora: «Stavamo facendo lo straordinario», racconta uno di loro con le lacrime agli occhi. Nella zona in cui ci sono i forni per il riscaldamento ci sono il responsabile della produzione Arrigo Barbieri, 57 anni, e l’elettricista esterno Marco Santamaria, 42 anni: probabilmente sono giù, a circa due metri di profondità, per riparare un guasto o per effettuare una normale manutenzione; motivo per cui hanno disattivato l’allarme. A un certo punto, succede qualcosa: forse a scatenarlo è l’azoto che scorre nei tubi di colore giallo. I due perdono i sensi e stramazzano sul fondo della struttura, non prima però di aver urlato: «Aiutateci, aiutateci».
Il primo ad accorrere è Giancarlo Barbieri, fratello maggiore di Arrigo, che dovrebbe andare in pensione la prossima estate. Scende i gradini della scalinata interna che conduce sul fondo, ma accusa subito un malore. In quel momento, tutti gli altri operai si accorgono della situazione e accorrono sul posto, affacciati alla ringhiera dalla quale si scorge chiaramente cosa sta succedendo in basso. In due, Alfonso Giocondo e Giampiero Costantino, prendono Giancarlo per le braccia e cercano di fargli risalire la scaletta per metterlo in salvo. Non ci riescono, perché all’improvviso il 61enne scivola all’indietro.
I due, a loro volta in difficoltà, risalgono di corsa. È in quel momento che entra in scena un altro operaio, il 48enne Giuseppe Setzu: non ci pensa su due volte e si lancia a perdifiato giù per la scalinata per salvare i colleghi. Nel frattempo, i responsabili della ditta hanno già chiamato i soccorsi. Sul posto arrivano le ambulanze del 118, i vigili del fuoco (il caposquadra Mario Polloni resterà lievemente intossicato), la polizia locale e i carabinieri di Porta Monforte. Sul fondo della fossa ci sono quattro corpi che non si muovono, in arresto cardiocircolatorio: i sanitari avviano le manovre di rianimazione, ma le loro condizioni paiono subito disperate.
Marco Santamaria muore pochi minuti dopo il ricovero al Sacco. Lo stesso drammatico destino tocca pure ad Arrigo Barbieri e Giuseppe Setzu, deceduto in serata. L’unico ancora in vita è Giancarlo Barbieri, attaccato alla macchina della circolazione extracorporea nel reparto di Terapia intensiva del San Raffaele. Gli altri tre se la caveranno. Intanto l’azienda viene sequestrata dai carabinieri su disposizione dei pm Tiziana Siciliano e Gaetano Ruta, immediatamente arrivati sul posto per coordinare gli accertamenti investigativi. «Sono in quest’azienda da 28 anni – piange l’operaio Pasquale Arcamone – e non è mai successo nulla: se qui qualcuno non indossa le protezioni, il titolare gli rifila un euro di multa e poi lo dà in beneficenza». Eppure ieri pomeriggio qualcosa è successo: toccherà ora agli investigatori scoprire cosa abbia innescato la tragedia di via Rho.