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Milano, 7 gennaio 2021 - È passato quasi un anno dall’inizio della pandemia, una enorme tragedia i cui effetti hanno portato a un’altra tragedia, forse questa in parte evitabile, ribattezzata "la strage dei nonni", la morte cioè, di centinaia di anziani nelle residenze sanitarie assistite.
Settecento decessi di mamme, papà nonne e zii, ricoverati nelle rsa, in alcuni casi, anche solo per terapie di riabilitazioni, che sono stati contagiati dal Covid e sono morti in pochi giorni, come inghiottiti nel nulla senza potere avere accanto nessuno. Settecento morti contati fino ad aprile, secondo i numeri ufficiali, in quindici rsa finite sotto l’occhio della procura, ma il sospetto è che i morti siano molti, molti di più, perché è difficile stabilire numeri precisi quando al picco della diffusione non si potevano fare autopsie ed era quasi impossibile un ricovero in un ospedale. A distanza di mesi la procura di Milano ha fatto solo un piccolo passo avanti in una inchiesta per epidemia colposa che è parsa fin da subito enorme, dai mille rivoli e molto complessa nell’accertamento delle responsabilità. Il lavoro di analisi dei documenti, in particolare la lettura delle centinaia e centinaia di cartelle cliniche, da parte del pool di nove esperti nominati dalla Procura è ancora all’inizio. I consulenti dei pm hanno cominciato a visionare l’imponente mole di carte sequestrate nel corso delle perquisizioni effettuate nei mesi scorsi dalla gdf e hanno iniziato la stesura delle prime note informative da consegnare ai pm coordinati dall’aggiunto Tiziana Siciliano.
Di molti pazienti morti le autopsie non sono state fatte su decisione del procuratore capo Francesco Greco, non era possibile a marzo e nemmeno ad aprile, serviranno quindi perizie sulle cartelle cliniche, fatte da medici esperti, per attribuire con certezza al Covid il decesso di questi pazienti. Intanto, nei mesi scorsi sono proseguite le audizioni di testimoni nelle indagini, tra cui operatori, infermieri e familiari degli anziani, ma anche funzionari regionali e dell’Ats. Gli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf stanno effettuando una ricostruzione analitica dei documenti sequestrati in perquisizioni ed acquisizioni per mettere in fila ed analizzare le delibere regionali, le comunicazioni con l’Ats e le disposizioni impartite da quest’ultima alle singole case di riposo. E per verificare, infine, come queste siano state recepite dalle Rsa.
Uno dei tanti fronti delle indagini è quello che riguarda il mancato utilizzo dei dispositivi di protezione, anche perché nelle varie denunce di operatori e sindacalisti è stato indicato che in alcuni casi gli stessi responsabili o vertici delle strutture, tra cui ad esempio anche il dg del Pat Giuseppe Calicchio (indagato per epidemia e omicidio colposi), avrebbero dato disposizioni di non usare le mascherine, a volte anche minacciando gli infermieri. Gli investigatori dovranno accertare, anche, quali erano le disposizioni nazionali e regionali sull’uso dei Dpi nelle prime fasi dell’emergenza, le più critiche, tenendo conto anche che le Rsa non sono strutture sanitarie, ma sociosanitarie, e vedere pure se c’erano indicazioni diverse tra loro per medici, infermieri, operatori sociosanitari e Asa. Tra gli aspetti da ricostruire, poi, anche le disposizioni sul trasferimento di pazienti Covid dagli ospedali nelle Rsa, tra cui la delibera regionale dell’8 marzo. E anche il ruolo dell’Ats in relazione agli eventuali controlli sull’applicazione delle disposizioni. Una inchiesta infinita, buona parte del materiale è stato già digitalizzato, le prime note sono state scritte, ma il lavoro è ancora lungo. Fra l’altro lo "scudo" sulle responsabilità riservato ai medici, potrebbe essere esteso anche ai dirigenti sanitari.