Milano, 4 ottobre 2017 - In fugo dal suo Paese. E dal «maleficio» che avrebbe colpito la sua famiglia. È la storia raccontata da Amir (nome di fantasia), richiedente asilo ghanese che qualche giorno fa ha ottenuto dal Tribunale Civile di Milano il permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Inizia tutto nel 2016, quando Amir, migrante giunto sulle nostre coste con un barcone, arriva a Milano (dove inizia anche un percorso lavorativo) e lì presenta richiesta di protezione internazionale. Alla Commissione prefettizia racconta di non avere più familiari. Mamma e zia, afferma, sono decedute in poche ore: «Per me sono morte di morte naturale, ma secondo altri sono morte a causa dei problemi che abbiamo avuto con persone per una questione di terra da coltivare. Qualcuno dice che hanno avuto un maleficio». Quindi: «Ho paura di ciò che è successo alla mia famiglia perché sono l’unico superstite. I miei familiari sono morti misteriosamente senza problemi di salute: oltre ad avere paura della magia in Ghana, non c’è più nessuno dei miei familiari. In Italia, ho trovato la mia famiglia con i colleghi di lavoro».
Motivazioni poco convincenti per la Commissione, che il 13 dicembre 2016 gli nega lo status di rifugiato. Amir presenta ricorso e il caso arriva al Tribunale civile. Lui conferma quanto detto in precedenza. Del resto, argomenta il suo avvocato, le credenze popolari esistono, e non solo in Africa. Per avvalorare la tesi cita articoli di stampa che parlano dei milioni di italiani «seguaci» di maghi e veggenti. Argomentazione suggestiva che non trova sponda: «no» confermato alla protezione internazionale, visto che non stiamo parlando di un perseguitato per motivi razziali o politici.
Finita? No, perché il giudice accorda comunque al ragazzo un permesso di soggiorno per motivi umanitari, di rango inferiore rispetto alla protezione internazionale, ma sufficiente per restare qui: per il Tribunale, Amir si trova «in una situazione di vulnerabilità legata alla vicenda traumatica vissuta nel proprio Paese a causa della morte, in rapida successione, di tutti i suoi familiari, dovendosi dar atto altresì dell’elevato grado di integrazione del ricorrente in Italia».