Milano, 10 maggio 2020 - Silvia Romano era partita da Milano per aiutare i bambini di Chakama, villaggio in una delle zone più povere del Kenya, a circa 80 chilometri dai grattacieli di Nairobi e ancora meno distante dalle spiagge di Malindi, paradiso per turisti. Villaggio dove il 20 novembre 2018 fu rapita da un commando armato di fucili e granate. Da allora sono trascorsi un anno, cinque mesi e venti giorni di angoscia, dissolti con la telefonata che i genitori di Silvia hanno atteso per tanto tempo.
"Sono felicissimo – spiega il padre, Enzo Romano – è la gioia più grande, la felicità è talmente grande che scoppia. Ho trascorso tutti questi mesi aspettando di poter riabbracciare mia figlia". Un ringraziamento, un pensiero rivolto a tutte le persone che sottotraccia hanno lavorato per la liberazione. La famiglia fin dal primo giorno ha scelto la strada del silenzio, ha chiesto il riserbo anche nei momenti più difficili, quando falsi allarmi e voci si rincorrevano. Mesi vissuti tra angoscia e speranza. Un silenzio scalfito solo da un messaggio, carico di amore, che il padre aveva scelto di pubblicare su Facebook il giorno del 24esimo compleanno della figlia, lo scorso 13 settembre: "Posso regalarti dolci pensieri, trasmetterti forza ed energia dal profondo di un cuore che soffre, ma che non ha mai smesso di credere che tornerai tra le nostre braccia".
"Sono felicissima, frastornata" ha spiegato la madre, Francesca Fumagalli, mentre esplodeva la gioia dei vicini di casa nel quartiere Casoretto, dove Silvia è cresciuta assieme alla sorella Bianca. Un lavoro sottotraccia e complicato, quello dell’intelligence, visto l’ambiente in cui ha dovuto operare: una Somalia dove negli ultimi anni gli Shabaab hanno seminato morte e terrore e mettendo in scacco le fragili istituzioni. Proprio dalla Somalia è arrivato l’input a rapire Silvia Romano, secondo quanto ha ricostruito la procura di Roma, che ha coordinato le indagini in collaborazione con gli inquirenti kenyani. La cooperante di Milano lavorava per la onlus marchigiana Africa Milele che opera nella contea di Kilifi, dove seguiva un progetto di sostegno all’infanzia con i bambini di un orfanotrofio. Il 20 novembre del 2018 un agguato in piena regola, alla ricerca della "donna bianca".
Un raid compiuto da un gruppo di criminali locali. Tre dei responsabili del erano stati arrestati e dalle indagini era emerso che la ragazza era stata trasferita in Somalia subito dopo il sequestro: un’operazione organizzata da un gruppo islamista legato al Al-Shabaab che aveva fornito alla banda di criminali comuni kenyoti denaro e mezzi. Da allora il silenzio, mentre all’ombra, tra tanti ostacoli, è stata avviata quella trattativa decisiva che ha portato alla liberazione di Silvia.