Milano, 20 dicembre 2017 - «Il Mattarelli». E chi non se lo ricorda in via Padova? «Il Mattarelli» abitava nel condominio di via Clitumno 11, 400mila euro di debiti condominiali dovuti a una occupazione selvaggia e abusiva e a una immigrazione irregolare lenta, stratificata e del tutto fuori controllo. Per dieci anni «il Mattarelli», come lo chiamavano tutti i milanesi che abitavano in via Clitumno, ha amato a tal punto quella casa di ringhiera in cui era nato, da mettersi a disposizione di chiunque avesse bisogno: una sorta di amministratore senza nomina che, con il cuore in mano, cercava di evitare la deriva con ogni mezzo. Dicono che non riuscendo a salvare via Clitumno 11, «la sua casa», dove nemmeno la fidanzata con un figlio in arrivo si sarebbe mai trasferita, sia diventato matto, ma nel senso letterale del termine, sia impazzito. Un giorno ha chiuso la porta di casa e mai più nessuno ha avuto notizie di lui. Storie vere tramandate. È così che via Padova si racconta. Sale sul palcoscenico e prova a trasmettere la sua anima.
È il teatro Officina ad ascoltare le voci di chi ha vissuto e ha scelto di restare in questo spicchio di Milano multietnico e fragile, affascinante e disperato, tenero e a tratti rassegnato. L’Officina «sociale» per eccellenza, da sempre interprete della cultura radicata nel quartieri, uno straordinario laboratorio di sperimentazione urbana che restituisce, a chi li vuole sentire, quei racconti tanto incredibili. Così lo spettacolo, che domani sera sarà al teatro dell’Elfo continua a parlare di come si vive nelle case della via di Milano che ha così tanti volti. In quei condomini la vita spesso scorre anonima, a volte ricca di emozioni, sempre ricca di storie. Ecco, sono proprio loro, gli abitanti a salire sul palco, insieme allo storico direttore artistico Massimo de Vita e ad altri allievi. C’è la postina del quartiere, c’è l’infermiera che abita in via Padova 36, la casa che mescola famiglie in difficoltà a famiglie che invece possono «aiutare gli altri», si chiama housing sociale. C’è il rapper “Sorcho”, 20 anni, che in via Padova è nato e di via Padova canta nei suoi monologhi. Ci sono due nordafricani con tanta voglia di farcela, rifugiati aiutati dal Progetto Arca, raccontano una sfilza infinita di pregiudizi e stereotipi costretti a subire. Gli stessi che, nel dopoguerra, si riservavano agli immigrati dal Sud. Ci sono due disoccupati che hanno perso il lavoro a 55 anni e insieme a quello hanno perso il filo di una esistenza. C’è la vita vera, quella che si accende quando si spengono le luci, quando la festa è finita e tutti sono andati a casa. E via Cavezzali 11? Siamo all’ultimo stadio.
Lì, nell'ex residence «Jolly Inn» racconta dal palco chi ci ha abitato, il padrone non è nemmeno più il degrado. No, quello è da tempo stato ingoiato come un boccone amaro, ma inevitabile. «I padroni sono una muta di cani randagi che tutto il giorno ringhiano e piangono». Proprio così «ringhiano e piangono» come i residenti, racconta Alberto, insegnante e drammaturgo. Lui ci ha abitato per otto mesi in via Cavezzali. In quegli appartamenti che un tempo sapevano di comfort si sono barricati spacciatori che si mescolano agli ultimi. Le porte restano aperte perché nessuno ha le chiavi di quelle case vuote tecnicamente, ma tutte abitate. E qualcuno a sorvegliare ci vuole. Cani randagi tra tanti umani randagi, che spesso si illudono di essere proprietari perché hanno pagato 3mila euro a qualcuno che si è approfittato di loro facendogli credere che per quella cifra gli avrebbe passato la proprietà. Questo e molto altro ancora racconta e racconterà il teatro Officina, che quest’anno ha vinto il bando alle periferie proprio con questo progetto «Open (your) House». Ma le storie di via Padova e dintorni sono tante e il progetto del teatro non si può interrompere a metà.
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