Milano, 27 dicembre 2016 - In Lombardia sono una decina i «profili radicali» sottoposti all’alta sorveglianza dei Ros dei carabinieri e dell’Antiterrorismo della polizia. Sono stati gli investigatori del web a identificare i loro dialoghi online e i profili, fra tutti, potenzialmente pericolosi. Sotto la lente dei cyber-investigatori sono finiti i piani di attentati che sono reputati più verosimili o ciò che può costituire allarme. Come si setaccia il mondo del web isolando, tra i tanti, i profili più «interessanti», quelli di potenziali terroristi? È un lavoro enorme, che non permette tregua, ventiquattro ore su ventiquattro a isolare parole, concetti e immagini postate, sospette. «Jihad», «mujaheddin», sono le più semplici, le più comuni, poi ci sono una serie di parole arabe, inglesi dicono gli investigatori dell’Antiterrorismo, immagini simbolo che richiamano l’attenzione. Almeno cinquanta erano i presunti terroristi internazionali finiti sotto inchiesta in soli dodici mesi, tra dicembre del 2014 e lo stesso periodo del 2015. E oggi sono senz’altro di più, anche se per le conferme ufficiali si dovrà attendere i prossimi giorni. Intanto però, citando le statistiche della Corte d’Appello nell’ultimo anno giudiziario il reato di «attività terroristica» ha fatto boom: + 500 % rispetto ai dodici mesi precedenti. Tutti “foreign fighter”, uomini e donne dalle storie diverse, ma partiti per il Medio Oriente per andare a combattere in Siria o Iraq, al fianco dell’Isis. Ma anche loro familiari o parenti che li hanno aiutati e spalleggiati. Gli ultimi, allontanati di recente dal terrirtorio lombardo, sono due immigrati tunisini che frequentavano la moschea di viale Jenner mostrando una convinzione religiosa oltre i limiti del fanatismo. E che soprattutto - stando agli investigatori della Digos - si stavano dando da fare con il proselitismo per la lotta armata.
Del resto tra i foreign figthers, quei soldati della fede partiti o transitati dall’Italia per andare a combattere a fianco dei fratelli musulmani, c’è anche quell’immigrato residente nel Milanese, Ammad Bacha, che ha raccontato alla trasmissione tv «Le Iene» la sua esperienza di combattente nella guerra civile siriana, e il ventenne di origini marocchine ma nazionalità italiana, residente nel Bresciano, accusato di addestramento al terrorismo internazionale, che ora si troverebbe in Siria. Tra gli espulsi milanesi degli ultimi anni c’è anche Nadine, tunisina 33enne che disegnava la bandiera dell’Isis nella sua casa popolare a Niguarda. «Devo partire. Andare in Siria. Dare la morte agli infedeli in combattimento. Il mio desiderio è combattere e morire», scriveva su Internet, prima di essere espulsa. Era in Italia da sette anni, arrivata con un visto turistico nel 2007, ospite della sorella. Poi era caduta nella spirale dell’intergralismo. Prima di lei l’espulsione era toccata soltanto a uomini come Abu Imad, l’ex imam di viale Jenner rimandato in patria per le sue prediche violente e integraliste. E poi Maria Giulia Sergio, 29 anni, “Fatima” dopo la conversione all’Islam e la radicalizzazione, partì per la Siria nell’autunno del 2014. «Lady jihad» ha fatto scuola, visto che dopo di lei anche un altra ragazza, Alice Brignoli, si è scoperto essere partita dal Lecchese verso Oriente con marito e figli.