di Luca Zorloni

Milano, 15 maggio 2013 - La crisi ha fatto al mercato dell’arte italiano ciò che Lucio Fontana, maestro dello Spazialismo, faceva alle sue tele: un taglio netto e profondo. Da un lato i grandi collezionisti, che continuano a scambiare quadri e sculture, dall’altro i piccoli e medi compratori, che hanno tirato i remi in barca. Da un lato le due regine delle aste internazionali, Christie’s e Sotheby’s, che pur avendo ridotto le sessioni di vendita in Italia, registrano incassi da capogiro; dall’altro le piccole case d’incanto, che soffrono a causa di un mercato interno asfittico.

Già, la crisi ha fatto al mercato dell’arte ciò che aveva già inflitto a tutti gli altri settori dell’economia globale. Ha allargato la forbice tra i ricchi portafogli, gonfiandoli ancora di più, e i piccoli risparmiatori. Solo che nell’arte, a differenza che altrove, non si è sviluppato nessun movimento Occupy. E in Italia, dove leggi capestro e burocrazia fanno la parte del leone anche nel mercato della creatività, i capitali frenano o espatriano. A Milano, lo scorso 22 aprile, Christie’s ha aggiudicato un quadro di Fontana, “Concetto spaziale”, tre tagli, sfondo rosso, 1964, per 757mila euro, cinquantamila in più della stima iniziale. Ma non si scioglie il nodo di come rilanciare l’offerta presso i piccoli e medi compratori.

 

LOMBARDIA AL BIVIO
Per la Lombardia la sfida è cruciale. La regione è il crocevia italiano degli oggetti d’arte e secondo dati della Camera di Commercio di Milano, nel 2012 le imprese del settore attive in Lombardia rappresentavano il 18,4% sul totale italiano. Parliamo di 450 tra negozi e gallerie, 39 case d’aste (di cui 24 a Milano), 250 antiquari e 75 vetrine di numismatica, filatelia e collezionismo, duramente colpite dalla crisi. Rispetto al 2009, le attività sono diminuite dell’8,9% (da 894 a 814). Un’emorragia più grave a Milano, dove un’impresa ogni dieci ha chiuso i battenti (in provincia si concentra il 54,9% di queste) e ancora più diffusa nello Stivale, con un tracollo in tre anni del 12,2%. Là dove viaggiano i grandi capitali, Londra e New York, capitali delle aste internazionali, ma anche l’Estremo Oriente, mercato sempre più rampante, l’arte muove milioni. Perché l’Italia, patria degli artisti che oltre confine fruttano valanghe di dollari, è rimasta fuori dal giro?

 

LA PIAGA DELLA BUROCRAZIA
La burocrazia è uno dei motivi principali. Secondo Riccardo Sorani, perito e fondatore di Art advisory, società di consulenza in acquisti d’arte, la legislazione italiana non aiuta. “Gli oggetti con più di 50 anni devono avere l'autorizzazione della Soprintendenza. Uno straniero che acquista un oggetto di antiquariato deve aspettare circa 40 giorni per ricevere l'ok. Così la maggior parte delle persone rinuncia”.

L’anno scorso l’ufficio esportazioni della Soprintendenza di Milano, con sede a Brera, ha rilasciato 3.125 attestati di libera circolazione, che permettono di condurre beni artistici al di fuori dei confini nazionali. Non si tratta solo di opere che finiranno sui cataloghi di aste o gallerie, ma anche, spiega la direttrice Emanuela Daffra, “di oggetti che i privati vogliono trasferire in un’abitazione all’estero”. Non sempre le pratiche vanno a buon fine. Nel 2012 ne sono state respinte 19. “L’attestato viene negato a pezzi importanti per il patrimonio storico italiano”, spiega Daffra, ed è per questo che deve essere la Soprintendenza a timbrare il foglio di via. In Italia esistono 19 uffici preposti alle esportazioni e a Milano spetta la maggior parte del lavoro, il 30% delle autorizzazioni.

 

MENO TASSE SULL'ARTE
Altro tema spinoso è la tassazione. Claudio Borghi Aquilini è docente di economia e mercato dell'arte all’università Cattolica di Milano. Per far respirare il settore suggerisce di intervenire con “la detassazione”. “L’Iva oggi è al 21% - spiega –, andrebbe agevolata. D’altronde, il gettito è così basso, visto che lo scambio tra privati è esente, che se anche detassassimo totalmente, lo Stato non perderebbe nulla ma emergerebbero le transizioni”. Proprio il carico fiscale sulle compravendite permette di appurare la contrazione del mercato dell’arte.

Il termometro è il diritto di seguito. Borghi Aquilini, nel suo ultimo libro “Investire nell'arte”, lo definisce “una forma di diritto d'autore spettante all'artista, che gli consente di ottenere un compenso sul prezzo di vendita della sua opera successiva alla prima cessione” e viene versato alla Siae. È proprio la Società degli autori e degli editori a certificare un'altra frana del mercato dell'arte: in Italia in quattro anni, dal 2008 al 2012, le transazioni di belle arti si sono ridotte di due terzi, da 9.624 al 3.683, con un dimezzamento degli importi del diritto di seguito, da sei milioni 557.968,29 euro ai tre milioni 13.926,14 euro. Si effettuano meno transazioni e i pagamenti si dilatano nel tempo. Tanto che lo scorso anno la Siae ha sì rastrellato circa 6,2 milioni di euro dal diritto di seguito, ma perlopiù da transazioni avvenute negli anni precedenti.

 

I GRANDI IN RITIRATA
Ed è altrettanto poco confortante la riduzione del numero di aste organizzate dalle due sorelle dell'arte, Sotheby's e Christie's. A Milano i loro martelletti battono in ritirata. I motivi, secondo le fonti ufficiali, sono ristrutturazioni aziendali. Fatto sta che i pezzi migliori si vendono all’estero. Nel 2011 Sotheby's ha lasciato in Italia solo gli incanti di arte contemporanea, in due tranches, estiva e invernale (il prossimo appuntamento andrà in scena il 22 e il 23 maggio). I Paperoni hanno saputo dare soddisfazioni alla casa d'aste. Lo scorso anno, ad esempio, si sono combattuti un “Concetto spaziale” di Lucio Fontana, uno dei nove rari esemplari della serie “Metalli”, facendolo schizzare a un milione 184.750 euro. E un bracciale del maestro dello Spazialismo ha superato ogni record mondiale per un gioiello d'artista, attestandosi alla cifra stellare di 126.750 euro. Ma nel 2012 le aste hanno registrato anche molti invenduti: 75 su 186 a maggio e 56 su 135 a novembre.

Lo stesso fa Christie's: nel 2012 si sono tenute solo le aste di arte moderna e contemporanea e di dipinti antichi. Cristiano De Lorenzo, responsabile comunicazione della società inglese, spiega che “in Italia non ci sono le condizioni per opere di alto livello”. “Era una piazza centrale nell’ultimo decennio – aggiunge –, ma ora ci sono restrizioni sulle esportazioni che fanno allontanare i compratori stranieri. E gli italiani non sono abbastanza”. E, oltretutto, sono molti cauti nella spesa.

 

IL WEB CI SALVERA'
Via San Marco, Brera, 21 marzo. È il primo giorno di primavera e la sera è tiepida. Giovani si assiepano fuori dai locali dopo l’aperitivo. Ma la galleria Pace, che offre un’asta serale, è vuota. “Ormai partecipano tutti via internet”, spiega il titolare, Gimmi Stefanini. E la crisi, si sente? “Eccome, se prima vendevamo il 70% delle opere e un 30% era invenduto, ora le proporzioni si sono invertite”. Per i medi collezionisti il momento è difficile. Gabriele Crepaldi, portavoce dell’Associazione nazionale case d’aste (Anca), osserva che tra i propri associati il fatturato è “in crescita tra chi ha saputo cogliere le opportunità del web”. Ma non basta. Per salvare il sistema arte serve un intervento radicale. “I francesi si stanno organizzando – aggiunge – con la creazione di nuove aste per aumentare il fatturato”.

 

ALLA FIERA DELL'ARTE
L’Italia dove può trovare nuovi collezionisti in questo momento? Forse non serve andare lontano. Un segnalo positivo arriva dalle fiere. Il Miart, in scena dal 5 al 7 aprile a fieramilanocity, ha registrato 36.736 visitatori, il 12% in più dell’anno precedente, tra cui molti osservatori internazionali interessati alla ricetta del direttore Vincenzo De Bellis. Un mese prima, al Superstudio più di via Tortona, Affordable art fair, l’esposizione con opere sotto i cinquemila euro, staccava 13mila biglietti di ingresso. E in cassa sono finiti un milione e centomila euro, il 30% in più dell’anno precedente. Considerando che all’Affordable art fair molti pezzi erano venduti sotto i 500 euro, significa dal Superstudio più sono uscite molte più persone con un pacco sotto il braccio. Come diceva il regista scozzese Frank Lloyd: “Se si vende, è arte”.

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