Milano, 18 novembre 2015 - Il tribunale ha risposto no agli imprenditori italiani, non disporrà il sequestro preventivo del padiglione della Russia a Expo. Era l’ultima carta in mano alle nove aziende che da maggio reclamano 950mila euro per la costruzione del palazzo, che Mosca ha bollato come «incompiuto e difettato», mentre un perito del Tribunale milanese, al contrario, lo ha giudicato costruito a regola d’arte. Ora al gruppo di società – Ges.Co.Mont, Sech. Thyssenkrupp elevator, Mia infissi, Idealstile, Catena, Sforazzini, Mandelli, La Casa ed Elios – resta il sentiero accidentato dell’arbitrato internazionale. I canali diplomatici tacciono, in Expo spa il dossier è in mano al commissario generale ed ex ambasciatore Bruno Pasquino e al manager Stefano Gatti, direttore degli affari internazionali. Il tempo, tuttavia, stringe. Oggi dentro al recinto del sito scatta il semaforo verde per bilici e tir, perché inizia la fase due del trasloco, quella più pesante, prima delle demolizioni. I Paesi possono fare i bagagli. La Russia aveva già iniziato a smantellare il proprio padiglione il giorno dopo la chiusura, in barba alle regole di Expo, ma era stata beccata dai creditori e bloccata dall’Asl. Adesso, però, l’attività di smontaggio può essere intensificata e per gli imprenditori italiani sfuma l’ipotesi di mettere spalle al muro i rappresentanti di Mosca, Rt Expo e Rvs holding, sigillando la struttura.
Nel complesso, dopo i primi giorni di trasloco, «smontano in pochi dentro Expo, si va lenti», racconta Marco Castiglioni del VivaioMandelli di Legnano, che oltre alla Russia ha fornito il verde a una decina di padiglioni. L’Ungheria è ferma: per il suo maxi-tamburo sono scattati i sigilli del sequestro preventivo. Anche Budapest avrebbe conti in sospeso con le aziende costruttrici, per circa un milione di euro. Altre aziende sono in affanno. La Casarna di Lecco, ad esempio, impegnata nella costruzione di due delle strutture più visitate, quelle di Coca-Cola e Giappone, ha chiesto nelle scorse settimane l’ammissione al concordato preventivo. La crisi dell’azienda deriva da cause esterne a Expo, tuttavia la procedura ha bloccato il trasloco del padiglione della multinazionale delle bollicine, che diventerà un campo da basket a Milano. È lo stesso copione della Stratex: l’azienda friulana, che ha firmato il padiglione della Cina, quest’estate si è presentata in tribunale a Udine. E fonti di cantiere riferiscono che anche uno dei subappaltatori della Turchia avrebbe alzato bandiera bianca.
Dall'altra parte dell’Atlantico, nel frattempo, si lavora saldare i fornitori del padiglione degli Stati Uniti. Washington non gestisce queste eventi e la regia è in mano all’ente no profit «Amici del padiglione Usa». Il budget è stato raccolto da una serie di sponsor, tra cui General Electric, Uvet e Dupont, ma rispetto ai 35 milioni di euro preventivati, la spesa sarebbe lievitata a 50 milioni e la diplomazia sta bussando alle porte dei partner per colmare il buco. «Nel giro di qualche settimana i problemi saranno risolti, la cifra dovrebbe essere inferiore», spiegano dall’organizzazione. Nel cantiere è rientrata anche la Stahlbau Pichler di Bolzano, che ha ricevuto circa 50 milioni di euro di commesse per l’evento, dal padiglione Zero all’Expo centre a Germania, Svizzera, Cile, Emirati, Bielorussia, fino alla vela di Palazzo Italia. L’azienda sta limando gli ultimi dettagli tecnici con Expo spa per la manutenzione del padiglione Zero, uno dei «gioielli» che resteranno in eredità. «Bisognerà mantenere gli impianti, controllare che non ci siano infiltrazioni – spiega il direttore, Luca Benetti –. I padiglioni sono pensati con una vita utile di 50 anni, ma con un assetto energetico estivo». Nel frattempo, Stalbau apre un altro cantiere: il trasloco del canyon degli Emirati da Milano al Golfo.
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