
Vedano, l'artista brianzola d'origine e trapiantata a New York Alessia Reggiani
Vedano al Lambro (Monza e Brianza), 30 luglio 2016 - L'arte può quasi dire di averla nel Dna. O nell'incoscio. Crea opere fondate sui materiali e sulla manipolazione della materia. Opere che si interrogano e interrogano chi le osserva sul contrastato legame tra libertà e dipendenza, sul paradosso di una libertà anelata che però, per definirsi e stagliarsi, non può fare a meno di richiamare immediatamente anche ciò che la limita, che ne disegna i confini. Originaria della Brianza, da alcuni anni vive e lavora a New York, dove ha aperto, a Manhattan, il suo studio principale. Ma il «cordone ombelicale» con la terra d'origine è rimasto forte. Tanto che nei giorni scorsi ha voluto aprire al pubblico anche lo spazio che utilizza, in via Meucci a Vedano, come studio quando si trova in Italia. E' nato così l'evento «Art Open Studio» dell'artista Alessia Reggiani, che ha coinvolto nell'iniziativa altre 3 artiste locali, Paola Spreafico, Fausta Riva e Chiara Cazzaniga. Ventisette anni e un percorso creativo in divenire, per Alessia Reggiani la passione artistica è quasi un'eredità di famiglia. E' infatti nipote di Goffredo Reggiani, fondatore della Reggiani Illuminazione di Sovico - punto di riferimento a livello internazionale nel settore del «lighting design» -, nonché collezionista e grande appassionato d'arte. Da dove nascono le opere di «Born into Frames», presentate a Vedano? «Tutto è iniziato un paio d'anni fa. Ho cominciato a lavorare a queste opere che non erano più quadri, ma iniziavano a prendere una terza dimensione. Parallelamente ho affiancato anche una ricerca concettuale e filosofica sull'idea di libertà, incontrando subito pure il suo opposto, che è la dipendenza. Una riflessione che ho tradotto nelle mie opere con l'uso di materiali e di "frames", le cornici. Io cerco di liberare questi materiali dalle cornici, ma allo stesso tempo essi hanno bisogno di vivere in queste cornici: un paradosso concettuale che si può leggere anche a livello personale, degli individui». Cosa c'è all'origine di questo percorso? «E' una scelta derivata da una mia riflessione personale, sul bisogno, come artista e come persona, di libertà: un bisogno che c'è in qualsiasi individuo. Questo mi ha spinto a tradurre tali concetti in forme e materiali. Con tutte le mie opere cerco di porre allo spettatore queste domande». Ecco, i materiali sembrano essere centrali in questa ricerca. «Per me, nel mio processo artistico, i materiali sono molto importanti. Ogni artista ha affinità con materiali diversi: io in America ho trovato affinità col ferro e l'acciaio, qui in Italia col legno, le corda, la iuta. Sono materiali che prendo e che poi lavoro. E' una sensibilità intima. Quando lavori un materiale hai una relazione con la materia, se non la senti tua finisce per "metterti i bastoni fra le ruote"». Perché questo evento a Vedano? «Vivo negli Stati Uniti, torno in Brianza una volta o due l'anno, dalla mia famiglia. Ho uno studio in America, a New York, più precisamente a Manhattan, e questo spazio, più grande, a Vedano: ci ho sempre lavorato, nel poco tempo che passo in Italia, e ora, per la prima volta, ho voluto provare ad aprirlo al pubblico per vedere se possa essere l'inizio di qualcosa, di qualche esperienza artistica in Brianza». Nel suo percorso artistico c'entra la figura di suo nonno, Goffredo Reggiani? «Devo tutto a mio nonno, alla sua collezione. Per il poco tempo che ho potuto passare con lui, prima della sua scomparsa, mi ha sempre tenuto sotto la sua ala, mi portava in giro a vedere mostre, sono sempre stata a contatto con la sua collezione, con opere di Fontana, Burri, Pomodoro: penso che, nella mia parte inconscia, ci sia questa influenza. Lui è stato molto, molto importante per me». E' molto diverso lavorare, come artista, negli Usa e in Italia? «Vivo negli Stati Uniti da 5 anni ormai. Devo dire che l'altra sera a Vedano l'evento è andato molto bene, ma certo è diverso, più difficile che in America: però ho visto tante persone interessate e coinvolte. Spero che questo sia un inizio per altri eventi del genere. Certo non siamo a New York, ma penso che con gli spazi che abbiamo e le possibilità che ci sono si possa fare molto. Ho conosciuto altri giovani artisti qui della zona con cui spero di poter collaborare. L'iniziativa che abbiamo organizzato voleva essere un modo per dare la possibilità, a chi non ha sempre questa opportunità, di entrare in contatto con la scena dell'arte contemporanea». Ma qual è la «marcia in più» di New York? «La cosa interessante di New York è che è tutto lì, sempre a disposizione di tutti. Sicuramente è più dura emergere, perché c'è maggiore competizione e ci sono più artisti, ma ti puoi creare le occasioni, perché c'è più possibilità di collaborare con altri artisti». Lei ha studiato fotografia, e i suoi primi lavori utilizzavano anche i video e le performance. Ora le sue opere si focalizzano soprattutto sull'uso e la traformazione dei materiali. Come mai questo cambiamento? «L'inizio per me è stato un periodo di sperimentazione. Ma i soggetti del mio lavoro, a livello concettuale, sono sempre stati gli stessi, allora come oggi (ossia i temi della libertà e della dipendenza, dell'identità personale, ndr). Quando poi ho cominciato a lavorare con i materiali ho trovato quell'affinità in cui mi sento a mio agio. Le mie opere sono state quadri diventate sculture, e che ora stanno diventando installazioni. Magari in futuro tornerò ad approcciare altre forme artistiche, ma per ora la materia è quello che mi motiva». Ha già in mente altre iniziative a Vedano e in Brianza? «Ora ho delle mostre collettive da fare negli Stati Uniti. Nei prossimi mesi vedremo se ci sarà modo di poter fare altro a Vedano. La voglia da parte mia c'è».