Monza, 19 giugno 2016 - Stephen King, il Re del Brivido, ha parlato attraverso la sua voce per 43 volte. Ma non è l’unico. Nove legal thriller di John Grisham sono “suoi”. E poi molti altri, da Clive Barker a Chuck Palahniuk (quello di Fight Club), da Ballard a Ludlum, da Dean Koonz a Clive Barker, dal premio Nobel Doris Lessing a Mark Twain (Tom Sawyer!) o all’astrofisico Stephen Hawking.
Stiamo parlando di uno dei traduttori più prolifici degli ultimi anni (oltre 500 titoli in carriera), Tullio Dobner. Nato il 1° settembre 1946, Dobner ha origini austroungariche: papà era un ingegnere elettronico triestino, mamma insegnante di Lettere, e poi una nonna di Praga, un nonno napoletano ex ufficiale dell’esercito di Liberazione francese e... scrittore.
Come è diventato traduttore?
"Per amore".
Cioè?
"Studio l’inglese dall’età di 6 anni e da quando ne avevo 14 ho preso a soggiornare in Inghilterra tutte le estati in una famiglia del Sussex... e di fatto sono diventato madre lingua inglese: la imparai così bene che mi facevo scambiare per un inglese, gli stessi “indigeni” ci cascavano".
Figurarsi gli Italiani...
"(ride) gli facevo sentire i Beatles quando ancora qui non erano noti... vidi sette volte il film A Hard Day’s Night, imparai a memoria le sue battute per far colpo sulle ragazze".
E l’amore di cui parlava prima?
"A 15 anni conobbi una ragazzina inglese e qualche anno dopo mandò a monte il suo matrimonio e venne a vivere in Italia!".
Lei era giovanissimo...
"A 23 anni all’improvviso dovetti cercarmi un lavoro, ma non sapevo far nulla, fino a quel momento avevo solo studiato: liceo classico al Parini di Milano (scrivevo racconti per La Zanzara, mitico giornalino degli studenti!) e Lettere all’Università. E feci l’unica cosa che sapevo: entrai alla casa editrice Longanesi e chiesi di tradurre...".
Era il 1969, ricorda il primo libro tradotto?
"Era un giallo: Una bionda nel motore. E mi specializzai subito nella letteratura poliziesca americana".
Ma l’“americano” è tutt’altra cosa rispetto all’“inglese”...
"All’inizio faticai non poco. Erano libri da edicola di stazione, scritti nell’inglese del proletariato americano. Per fortuna però mi diede una mano quella che intanto era diventata la mia prima moglie: ho imparato lo slang americano dal rock and roll e Jane fu la mia doppia palestra, in casa si parlava solo inglese... intanto era anche nata mia figlia Cecilia".
Il suo metodo?
"La mente corre più veloce della mano e iniziai a registrare le traduzioni su nastro, al pomeriggio le trascrivevo. La mia produzione - gialli, fantascienza, western - intanto era aumentata, ero molto ricercato: Longanesi, Sperling & Kupfer, Bompiani, per star dietro a tutti gli impegni assunsi due dattilografe... e una me la sono poi anche sposata!".
Qual è la cosa più importante per una buona traduzione?
"La musica: anche un testo scritto deve avere una tonalità, un ritmo, una coloritura, pause ben precise".
Come nei dialoghi...
"In fondo, cosa fa lo scrittore? Spesso, recita mentalmente i suoi dialoghi!".
C’è chi ha detto che “tradurre è un po’ tradire”.
"La traduzione non è una scienza, è un’intuizione".
E quindi?
"Ci sono due modi per tradurre: da un lato, quello scientifico e filologico; io sono invece un passionale, traduco a istinto, come sento... come la musica appunto: quando traduco lo devo sentire prima di tutto nella pancia".
Una volta disse che tradurre è un po’ come fare all’amore.
"Con la traduzione stabilisco un rapporto viscerale per entrare in contatto col testo. Quando traduci un testo lo devi per forza un po’ tradire, devi manometterlo, come quando fai l’amore: devi avere rispetto dell’altra persona, ma allo stesso tempo devi entrarci...".
La fama gliel’ha data soprattutto un autore, di cui è stato traduttore ufficiale per quasi trent’anni.
"(sorride) Un giorno mi chiamarono alla Sperling... avevano bisogno di un traduttore maschio per un nuovo autore che avevano appena preso, temevano potesse urtare la sensibilità delle donne: nei suoi libri faceva morire i bambini!".
Veniamo al dunque...
"Il libro era Cujo, la storia di un cane San Bernardo che si ammala di rabbia e si trasforma in un mostro aggressivo... e l’autore era Stephen King".
Una fulminazione.
"King è un grande scrittore, come autore invece ho qualche riserva".
Perché?
"Ricorre spesso a soprannaturale e horror, ma il male è più convincente nella vita vissuta".
A volte anche King lo fa...
"Infatti per me il suo libro più bello è Dolores Claiborne, una storia di abusi familiari".
È il suo autore preferito?
"Sì, perché l’ho sempre sentito come mio: abbiamo una grande affinità caratteriale e spirituale, una Weltanschauung simile, mi riconosco molto nel suo carattere... siamo quasi coetanei, siamo stati adolescenti e universitari negli stessi anni, abbiamo vissuto entrambi la guerra in Vietnam come una ferita mortale al pianeta".
Un tema che torna anche in alcuni suoi libri.
"In Cuori in Atlantide, ad esempio. Credevamo di far parte di una generazione che avrebbe rivoltato questo mondo come un calzino mentre abbiamo preso una batosta storica: il socialismo non si può realizzare, l’establishment ha vinto, Kennedy è stato assassinato e l’amarezza di King viene da qui: non a caso nei suoi primi libri non metteva quasi mai un lieto fine".
Tullio Dobner però vive in Italia, non negli Usa...
"E in Italia è accaduto qualcosa di simile, la strage di piazza Fontana ha rappresentato per la mia generazione qualcosa di simile a quello che la morte di Kennedy significò per milioni di Americani".
King ha sempre patito molti pregiudizi della critica.
"Come Dickens o Dumas".
Mai avuto paura a tradurlo?
"No, sono troppo razionale".
Si dice che a volte i cosiddetti best seller vadano incontro a tagli drastici e censure nelle traduzioni...
"Mi sono trovato alle prese con collane che prevedevano un numero fisso di pagine in cui dovevi far rientrare a forza gli originali, anche contrattando con gli autori, ma a scegliere è sempre la redazione...".
E King?
"In It tagliarono una scena – ovviamente orrorifica - di assorbenti: King in fondo, già da Carrie, ha sempre avuto la fissazione del sangue mestruale...".
Con i fan del Re ebbe qualche problema.
"Alcuni sono un po’ troppo... fanatici".
Ora ha smesso di lavorare con la S&K (e King)... Si è rifatto con la Newton Compton.
"Sono tornato a tradurre ad alti livelli e ho avuto grandi soddisfazioni col recente The Martian-L’uomo di Marte di Peter Weir... e mi è successa una cosa mai accaduta prima in tutta la mia carriera: quando ho finito di tradurlo, ho mandato una lettera all’autore per congratularmi con lui. Sono pochi i libri di cui mi sono sentito così soddisfatto, mi sono divertito un mondo".
E Weir?
"Mi ha risposto, è stato gentilissimo, ringraziandomi per il mio lavoro! Tra l’altro quel libro ha una storia bellissima...".
Quale?
"Per due anni gli editori lo hanno rifiutato. Allora Weir lo ha pubblicato a 99 centesimi su Amazon e in tre mesi ne ha vendute 30mila copie...".
Non è un bel momento per la letteratura...
"Il libro è diventato una merce, non ci sono più gli editori, ma gli amministratori delegati".
Al traduttore tocca mettersi nei panni di un altro: si rischia mai di soffrire di sdoppiamento della personalità?
"(ride) È come per gli attori: non ti spaventa entrare nella testa di altri, ma ti eccita. Forse è anche per quello che a volte fatico a scrivere: entrare nella mia testa mi dà il panico! (ricordiamo però I libri che perdevano le parole per S&K o Schizosofia per il web, ndr)".
Riassumiamo: quali sono le regole per una buona traduzione?
"Devi essere prima di tutto uno scrittore e... sapere come funziona il castello culturale di cui la lingua con cui ti cimenti è espressione".
Che significa?
"Devi conoscere ogni sfumatura del loro modo di vedere il mondo: solo così puoi capire ad esempio perché un personaggio impresentabile come Donald Trump stia contendendo il seggio di presidente degli Stati Uniti a Hillary Clinton".
Perché?
"Perché la Clinton è una donna e quello è un Paese giovane, popolato dai discendenti di fanatici religiosi e criminali".
Qual è la felicità per il traduttore?
"Impossibile spiegare la bellezza che si prova a entrare nella testa di un’altra persona... Di recente ho incontrato una ragazza, e mi ha detto: “Leggendo le sue traduzioni, ho deciso di fare la traduttrice. Sono felice di quel che faccio e lo devo a lei”. Ecco che cosa mi commuove... quando mi fanno credere di aver fatto felice qualcuno, di averlo ispirato, con la mia fatica quotidiana. Perché a fare il mio mestiere si fatica, sa?".