Usmate Velate, 11 marzo 2012 - Da due settimane sono stati sfrattati e vivono dove capita. Da cinque giorni la loro casa è il bosco. Paola Villella e Samuele Galbusera, rispettivamente madre e figlio, vivono con la loro affettuosissima cagnolina Laila in una radura al limitare del bosco della Cassinetta. Una capanna rabberciata alla bell'e meglio è la loro dimora, giusto per segnare i limiti fisici di una «abitazione»: quattro pali di legno attaccati alle robinie, dai quali cadono a mo' di pareti due stracci, un tappeto scolorito e dei teloni di plastica. Il letto, se così lo si può chiamare, costituito da un paio di trapunte sporche, delle lenzuola e un cuscino gettati per terra, è l'unico arredamento della «casetta» improvvisata, insieme a due sedie e ad una vecchia carriola arrugginita che serve da cucina per contenere le braci necessarie a scaldare l'acqua per la pasta o per la polenta con la legna raccolta attorno.
Si lavano come possono, grazie ai bidoni di acqua che porta loro un amico d'infanzia . «Ho fatto un po' di tutto per sbarcare il lunario - racconta Samuele, 34 anni a maggio -: benzinaio, imbianchino, operaio metalmeccanico, giardiniere. Ho anche lavorato in una scuderia, ma si è sempre trattato di lavoretti che non portavano molti soldi in casa. E così, non sono riuscito a pagare l'affitto di 250 euro al mese delle case Aler, tanto che alla fine ho accumulato un debito di 13mila euro. Per questo ci hanno sbattuto fuori».
La madre, 61 anni mal portati, rivela nel suo volto una vita di fatiche: «Mi hanno buttato via tutto, quando ci hanno sfrattato: come sono uscita di casa così sono rimasta, con gli stessi vestiti - spiega Paola, una volta operaia in un'azienda di passeggini -. Per due settimane abbiamo dormito e mangiato sul ballatoio di casa con l'aiuto dei vicini, ma quando hanno capito che la cosa non si risolveva abbiamo dovuto andarcere. Non sapevamo dove sbattere la testa. Siamo solo io e mio figlio: tutti ci hanno abbandonato. I parenti hanno le loro difficoltà e non possono pensare a noi. Io e mio marito siamo separati da quando Samuele aveva tre anni e ora non so più nulla di lui. Non sopportavo le botte che mi dava quando era ubriaco. Sono stata costretta a lavorare tutto il giorno e quindi non potevo badare a Samuele. Mi aiutava mia madre, ma poi mio padre è morto e mia madre, diventata troppo anziana, non ha più potuto aiutarci e mio figlio è stato messo nel collegio Mamma Rita a Monza. Ma anche il lavoro se ne andato: prima ha chiuso la Peripra e poi sono riuscita a trovare lavoro in un ristorante di Arcore come lavapiatti. Però, quando è morto il titolare, i figli mi hanno licenziata. Ci stiamo arrangiando come possiamo, di giorno riusciamo a resistere ma la notte fa molto freddo».
Samuele guarda sconsolato verso le dispense improvvisate che contengono gli ultimi resti della donazione della Caritas parrocchiale: due sacchetti in plastica, dai quali spuntano un pacco di polenta e qualche scatoletta. «Non abbiamo più nulla da mangiare - dice -: se non fosse per la Caritas! Spero che ci portino qualcosa più tardi». Samuele e Paola vivono ad Usmate Velate da trentasei anni. Tra mille traversie erano riusciti ad ottenere l'assegnazione di un appartamento in via della Brina a Velate. Ma negli anni, soprattutto negli ultimi quattro, non sono riusciti più a far fronte agli impegni. «Guadagno troppo poco e in modo troppo saltuario - continua l'uomo -. O pago l'affitto o metto un piatto in tavola. Ho lottato per anni per farci aiutare: ho chiesto a tutti, sono stati gentili ma alla fine mi hanno risposto che non potevano. Cerco un lavoro, qualsiasi lavoro dignitoso che possa aiutarci ad avere e a mantenere una casa».
di Myriam Russo
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