S.Maria della Versa (Pavia), 31 agosto 2015 - Cinquanta euro a settimana per raccogliere l’uva, sotto il sole cocente per più di otto ore. E va già bene. « A mio cugino, tre anni fa, per tre giorni di lavoro hanno dato un telefonino vecchio e tanti saluti», racconta Giovanni, romeno, durante la pausa pranzo dalla vendemmia ai giardini pubblici di Stradella, dove gli alberi regalano frescura a tutti, compresi i molti stranieri impiegati nel business del posto. Le coordinate portano nel civilissimo Oltrepo, tra le dolci colline della Val Versa.
Qui parlare a taccuini aperti di capolarato o comunque di lavoro nero è un’impresa un po’ naive. Tutti negano, un po’ come i fedifraghi che negano pure l’evidenza. E non stupisce: le pulizie di primavera e d’estate in Oltrepo Pavese sono state vigorose (l’affaire Cantina di Broni, con il suo vino taroccato e il maxi sequestro, e quello La Versa, con i suoi conti non a posto), nessuno ha voglia di mettere anche questo carico da novanta sul vino oltrepadano. Eppure. Eppure il secondo rapporto ‘Agromafie e capolarato’ stilato dall’osservatorio Placido Rizzotto della Cgil, aggiornato a fine 2014, classifica il Pavese tra le province lombarde dove sussiste grave sfruttamento: «Impiego di caporali o di intermediazione illecita». Eppure qualcuno parla, come Giovanni, che lavora in un’azienda vitivinicola di Santa Maria della Versa: «Un anno fa mi hanno fatto il contratto, quest’anno hanno pianto miseria e mi hanno messo in regola solo per la vendemmia, cioè per un mese, ma credo che rimarrò anche dopo, perché in azienda il lavoro non finisce mica qui».
La paga è di sei euro netti l’ora. «Buono», dice Giovanni. «Buono», annuisce il cugino Florino. Capita anche che sotto un sole infernale a oltre 40 gradi il fisico non regga per otto ore e più, sempre per sei euro l’ora: «Qualche giorno fa sono stato male, faceva troppo caldo, mi hanno portato subito in ospedale». Per uno assunto con tutti i crismi, ci sono altrettanti fantasmi: «Un mio conoscente prende 50 euro alla settimana, in nero ovviamente». A Santa Maria della Versa i fantasmi si radunano al mattino presto davanti al bar Commercio di via Crespi, per poi sparire nei campi e ricomparire verso le 18. Le facce sono più o meno sempre le stesse anno dopo anno, i numeri invece sono ridotti. «Fino a un paio di anni fa erano 50, 60 persone – racconta la barista –. Ora sono una decina, credo romeni, di tutte le età: venti, trenta, quarant’anni e anche un uomo sulla sessantina. Tra di loro due donne».
Arrivano alle 6, con loro hanno dei borsoni, segno che non vogliono lasciare in giro prove di bivacchi: il pugno quest’anno è di ferro. Fino al 2013 in paese, in pieno centro, si creavano veri e propri accampamenti di stranieri in attesa di essere ‘assunti’ e portati sui luoghi di lavoro. Poi è scoppiato un mezzo scandalo e ora le forze dell’ordine, in divisa o in borghese, fanno frequenti controlli anche nei campi. Solo due giorni fa a Mornico Losana un imprenditore della frazione Casa Ferrari è stato denunciato per aver fatto lavorare in nero 14 stranieri. Sei giorni fa a Stradella i carabinieri, chiamati dal Comune, hanno tolto una tenda, con residui di bivacco, in via Carabinieri d’Italia. «È vero, fino a due anni fa Santa Maria della Versa era centro di aggregazione per la manodopera legata alla vendemmia – ammette il sindaco Maurizio Ordali –. Ora però la situazione è molto più tranquilla». Merito della recente ordinanza anti bivacco, «ma anche dell’appello che ho fatto venti giorni fa via giornali e a voce, nei bar: ‘Non usate lavoratori in nero, è meglio per tutti’». (ha collaborato Pierangela Ravizza)