Milano, 30 ottobre 2012 - Il carcere è lo specchio infranto della democrazia. Confine di voci soffocate dal silenzio paradossale di chi vive e non esiste, datato per sempre per ciò che è stato. Il grado di democrazia di un Paese si misura dallo stato delle sue carceri e delle sue scuole, quanto più le carceri saranno scuola e quanto meno le scuole saranno carceri tanto più sviluppata sarà la civiltà di una comunità sociale. Contro “il fine pena mai”, perché la pena non sia una punizione o una vendetta, ma rappresenti essa stessa un diritto, quello di ripensare se stessi e ritornare ad essere quel che non si è stato.
Giuseppe Ferraro, quali motivazioni l’hanno spinta a intervenire alla 4° Conferenza Mondiale Science for Peace? In cosa crede che questo Progetto sia diverso da altri sullo stesso tema?
Il rimando “scienza” / “pace” basta da solo a motivare la partecipazione alla Conferenza. “Pace” indica originariamente un “patto”, che non è semplicemente un contratto da ratificare secondo calcoli di scambio. La Pace è un contratto di dono, un legame, un modo di stare insieme, una pratica dell’in–comune ed è per tale il compito del sapere che nella sua organizzazione è scienza. Ciò che rende un sapere scientifico è la comunità e la continuità, la sua trasmissibilità. La sua comunicabilità è direttamente fare comunità. Senza continuità e senza comunità un sapere non è scienza. Senza, non è data formazione.
Credo che “la scienza della pace” esprima il significato più proprio della parola “etica”. Aristotele definì l’etica “scienza della politica” ovvero “scienza delle cose che riguardano i molti che stanno insieme”, scienza delle relazioni sociali, potremmo ripetere, perciò scienza della democrazia stando al significato che diamo alla forma di governo di una società comune, altrettanto come di una comunità sociale. Vivere insieme. “Scienza della Pace” è quindi l’esplicazione dell’etica, sapere in comune delle cose che riguardano l’ethos, che indica letteralmente il “riparo”, l’“abitare”, per ciò che è più fragile e insieme più violento, vivere.
La vita abita il mondo e il mondo è il riparo della vita. Tutta la cultura scientifica si muove sulla ricerca di un mondo della vita (Lebenswelt) sempre esposto al contrasto e alla negazione, così come è sempre prossimo alla gioia e alla felicità. Scienza della pace è quel sapere che si organizza insieme per dare mondo alla vita e mettere la vita al mondo. Far nascere e riparare, custodire la vita. È un sapere. Scienza della pace è il sapere dei legami che tengono la vita al mondo e danno mondo alla vita. Ancora Aristotele diceva, nell’Etica a Nicomaco, che il sapere si dà per ciò che manca. Non sarà da intendere quel “ciò che manca”, come quel che non c’è, ma come quel che è mancante e ha bisogno di essere retto, sostenuto, mantenuto, custodito. Il Sapere della Pace è quel che è chiamato a sostenere quanto è manchevole, quel che ci manca.
Descriverebbe brevemente il suo coinvolgimento all’interno del Progetto raccontando quali attività le stanno più a cuore?
Ciò che mi sta a cuore è il legame tra l’esistenza e la vita, ovunque un tale legame vacilla perché offeso o negato, sui luoghi di confini interni delle città, sui luoghi d’eccezione, nelle carceri, negli ospedali, nelle scuole del disagio sociale, nei “quartieri del buon dio”. Mi sta a cuore lo sviluppo della formazione e le condizioni delle carceri, particolarmente quella degli ergastolani ostativi. Ritengo che il grado di sviluppo della democrazia di un Paese si misura dallo stato delle sue carceri e delle sue scuole, quanto più le carceri saranno scuole quanto meno le scuole saranno carceri, tanto più alta sarà anche l’espressione democratica di una comunità.
Qual è secondo lei il primo tassello per costruire un percorso di pace?
La città come scuola dei legami. Tucidide racconta che il vanto di Pericle a fronte degli altri Paesi fu quello di aver fatto della propria città una scuola. La conoscenza, il sapere delle relazioni, il rispetto, gli affetti, la reciprocità, la simpatia, la pietà, questi tra primi elementi fondamentali che riguardano la funzione educativa dell’intera città e non semplicemente la scuola. È la città stessa che si deve fare scuola dei legami. Evidente che si tratta di un investimento educativo che riguarda la stessa funzione politica. Una città che si fa scuola dei legami è anche quella dove i politici si mostrano educati ai legami perché educati essi stessi, ed esemplarmente, alle istituzioni.
E quale il ruolo degli scienziati, degli uomini di pensiero e opinion leader in questo percorso?
Resto sorpreso ogni volta, quando in carcere, nel corso degli incontri di filosofia che svolgiamo, non manca mai il momento in cui sento dirmi che la colpa è degli intellettuali se restano irrisolti i problemi sociali, se non si ha conoscenza delle condizioni estreme e dei luoghi d’eccezione e di disagio. Sento ripeterlo spesso. E mi sorprendo che venga proprio da persone che sono deragliate dal percorso formativo, per aver subito la scuola come mancanza, evasione, disattenzione. Sono loro che lamentano la mancata funzione di conoscenza di coloro che, avendone gli strumenti, non la sviluppano per il Paese, per la Città, per la Democrazia.
Scienziati, uomini di pensiero, opinion leader sono uomini di conoscenza, di sapere, di relazioni. È come se la specializzazione dei saperi portasse a un’autoreclusione in scomparti incomunicabili. Le stesse reti che s’invocano ogni volta, finiscono con ridursi a reti extra e sovra sociali, inattive a risolvere esigenze e urgenze perché distanti in quanto chiuse su stesse. È paradossale che la comunicazione avanzi a discapito della conoscenza. Paradossale è che la conoscenza non promuova incontri, ma si rinchiuda. La grande funzione comunitaria del sapere nella cultura europea invece è sempre stata quella di promuovere uno sviluppo sociale comune insieme ad una consapevolezza che facesse agire comprensione e auto comprensione in un rapporto intersoggettivo che altro non significa se non legami di relazioni a salvaguardia della vita e dell’esistenza. È questo un legame, il più importante, quello che sempre sono chiamati ad affrontare scienziati, uomini di cultura, medici soprattutto, perché medicare è avere cura del mondo della vita.
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