di Patrizia Longo
Sesto San Giovanni, 12 gennaio 2013 - Anche i cinesi puntano all’affaire Falck: il mega intervento urbanistico - un milione di metri quadrati da edificare, valore quattro miliardi di euro - fa gola agli investitori della terra del Dragone. Che, per finanziare il business a nove zeri, starebbero per aprire una filiale della Bank of China nella ex Stalingrado d’Italia.
A segnalare l’operazione, mettendo in rilievo i potenziali rischi, sono stati gli 007 italiani, in una relazione inviata alla presidenza del Consiglio e al Copasir: casi concreti di possibili «infiltrazioni» in diversi settori economici, dall’industria navale alla finanza, passando per la riconversione delle aree dismesse ex Falck. Una nota dai toni allarmistici, che ha finito per preoccupare il Comune alle porte di Milano: «Ho chiesto un incontro al Prefetto - ha detto il sindaco Monica Chittò - per chiedere delucidazioni. Un conto è sapere di operatori privati pronti a sviluppare un progetto, e non ci sarebbe nulla di strano, altro invece è venire a conoscenza dell’interessamento da parte dei Servizi segreti».
Gli analisti del Dis (Dipartimento informazioni per la sicurezza), che già l’anno scorso in una relazione al Parlamento avevano lanciato l’allarme sull’espansione delle imprese cinesi in alcuni settori strategici del Paese, hanno segnalato «l’interesse manifestato dagli operatori cinesi per il recupero e il restauro dell’ex area Falck, progetto definito di interesse dalla stessa repubblica popolare cinese, il cui sviluppo è seguito dal consolato cinese a Milano». Una vicenda che secondo i Servizi «conferma l’interesse della Cina, sostenuta dalla rete diplomatico-consolare di Pechino, che punta a guadagnare il controllo di importanti aree immobiliari in fase di riconversioni in Italia, facendo leva sui disequilibri finanziari in cui versano gli enti locali».
Non solo. Perché l’intelligence avverte anche dei rischi in chiave finanziaria: a Milano, nei primi mesi di quest’anno, aprirà «l’agenzia di rating cinese Dagong, global credit rating, della controllata europea Dagong Europe, arma strumentale per Pechino per la ricerca e valutazione di fattibilità degli investimenti in Italia». In altre parole: individuare gli affari più convenienti su cui incanalare il flusso di denaro proveniente dell’estremo oriente.
D’altra parte non sono in molti a poter mettere gli occhi su una «torta» da quattro miliardi di euro. Quando ancora proprietario delle ex Falck era l’immobiliarista Luigi Zunino, tra i possibili acquirenti si fecero avanti australiani e arabi, prima del passaggio di mano alla cordata guidata da Davide Bizzi, che annovera tra i propri soci anche i coreani del fondo Honua. Senza dimenticare che il possibile arrivo di investitori asiatici, in particolare cinesi, è sempre stato tra gli auspici dei governi a tutti i livelli, nazionale e regionale, con ogni forma di gemellaggio o accordo economico possibile. Era il 2006 quando l’allora premier Romano Prodi, nel suo viaggio in Cina, portò con sé proprio il progetto di Renzo Piano sul recupero delle ex Falck, per «sponsorizzarlo».
Delegazioni cinesi hanno più volte fatto visita alla ex Città delle fabbriche, per studiare la chiusura dei grandi impianti produttivi (alcuni, come i macchinari dell’ex Concordia, acquistati, smontati, trasportati e rimessi in funzione proprio nella loro terra), così come le ipotesi di risanamento ambientale e riconversione urbana.
Nel settembre del 2000, una rappresentanza della municipalità di Shangai, in visita in Italia ospite della Cgil, chiese espressamente di fare tappa a Sesto San Giovanni, per una sorta di «gemellaggio» nel nome del lavoro e delle trasformazioni industriali. Al vicesindaco Angelo Gerosa consegnarono la «chiave di Shangai», in oro e cristallo. Le chiavi della città che, nel caso di Sesto, potrebbero ora finire proprio in mano cinese.
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