
Il "Bacio" di Hayez
Bergamo - È stato condannato a 3 anni per false attestazioni nella voluntary disclosure (la procedura fiscale che consente di fare rientrare in Italia capitali e beni detenuti all’estero senza averlo dichiarato) il manager di 59 anni Gianfranco Cerea, appassionato d’arte con casa in città. Inoltre il giudice ha chiesto la confisca di 2 milioni e 178mila euro. Le motivazioni entro 45 giorni. Secondo il pm Emanuele Marchisio, che al termine della sua requisitoria aveva chiesto 5 anni e mezzo, Cerea pagò 2 milioni di euro in meno: "Una persona ricca che ha voluto arricchirsi ai danni della collettività", lo aveva definito durante il suo intervento. Mentre per i difensori di Cerea, gli avvocati Luigi Frattini ed Enrico Mastropietro, tutte le contestazioni sono infondate e avevano invocato l’assoluzione. Prima della lettura della sentenza da parte del giudice Roberto Palermo, ci sono state le repliche del pubblico ministero ("in questo caso la veridicità è un ossimoro") e dei difensori del manager ("contestazioni infondate. Indagini a senso unico").
Il manager con la passione per l’arte è proprietario, tra altri, di una delle 4 copie esistenti al mondo del “Bacio“ di Hayez, comperato, rivenduto e acquistato di nuovo dalle sue società, fino ad affittarlo a una banca. Una vicenda lunga, in cui non sono mancati contraccolpi. Un processo per false dichiarazioni nella voluntary disclosure, la procedura di autodenuncia per la regolarizzazione dei patrimoni all’estero frutto di reati fiscali, presentata dal manger nel 2015. Secondo l’accusa, qualificandosi nella relazione di accompagnamento alla voluntary come collezionista di opere d’arte e non come commerciante, Cerea avrebbe risparmiato 1.959.208 di euro, tuttora sotto sequestro. "L’imputato è un evasore e falsificatore seriale", "una persona ricca che ha voluto arricchirsi in maniera spudorata ai danni della collettività", aveva sostenuto il pm, che ha anche chiesto la confisca di due milioni e 128 mila euro, confermata dal giudice.
Una vicenda che ha coinvolto anche Cristina Caleffi, della famiglia di imprenditori di Novara, cognata del sindaco Giorgio Gori. Caleffi è venuta a raccontare di aver affidato al manager 100 milioni di euro senza sapere che fine avessero fatto, se non per un museo di opere d’arte (per questo filone è stato aperto un procedimento a parte dopo la denuncia di lei per truffa, anche se in sede civile a Novara la sua versione è stata ritenuta poco verosimile).
In un primo momento indagata e poi archiviata, in questo processo Caleffi è stata testimone. Per l’accusa, Cerea, non un semplice collezionista, avrebbe venduto sue opere per 51 milioni di euro, dal 2005 al 2015. Al contrario, la difesa aveva fatto notare come, nel periodo dal 2009 al 2013, "Cerea abbia venduto all’estero 3 opere d’arte, mentre ne ha acquistate 325. All’inizio del periodo ne aveva 126, alla fine 405".