Bergamo - Quello dei reperti dell’omicidio Gambirasio è una odissea infinita che si allunga di un nuovo rimpallo, un nuovo capitolo, con la decisione della Cassazione che rimanda ancora una volta la questione a Bergamo. La Suprema Corte era chiamata a pronunciarsi su due ricorsi dei difensori di Massimo Bossetti (condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio) con cui si impugnavano altrettanti dinieghi venuti da Bergamo.
Un ricorso (il quarto) era perché la difesa potesse prendere visione di una serie di reperti (già autorizzata a suo tempo) e venissero indicate tempi e modalità dell’operazione. L’altro ricorso (il quinto sull’argomento) era per conoscere lo stato di conservazione dei reperti. I giudici della prima sezione della Suprema Corte hanno ritenuto ammissibili entrambi i ricorsi, li hanno unificati e rimandato gli atti alla Corte d’Assise di Bergamo perché decida sui ricorsi come giudice dell’esecuzione. "A Bergamo - annuncia Claudio Salvagni, difensore di Bossetti con Paolo Camporini - chiederemo udienza pubblica. Che tutti possano assistere, vedere, capire, sapere cosa accade e cosa è accaduto in questo processo".
Il 20 maggio 2021 la Corte d’Assise di Bergamo aveva respinto l’istanza dei difensori di Bossetti di visionare i reperti. Contro il "no" dell’Assise bergamasca i legali dell’artigiano di Mapello avevano presentato un ricorso in Cassazione dove era stata assegnata alla quinta sezione penale. Quest’ultima aveva però dichiarato la sua incompetenza rimandando alla prima. Era solo una tappa di una corsa a ostacoli iniziata molto prima. Il 27 novembre del 2019 la Corte d’Assise di Bergamo aveva accolto l’istanza di Salvagni e Camporini e autorizzato l’esame di 98 reperti, fra cui le provette con 54 campioni di Dna estratti dagli slip, gli indumenti che la tredicenne di Brembate di Sopra indossava la sera del 26 novembre 2010, la biancheria, le scarpe.
Il 2 dicembre la Corte d’Assise era intervenuta per precisare che si sarebbe trattato di una “ricognizione“ e non un esame invasivo. Il 9 dicembre i difensori avevano chiesto modalità e tempistica. Il 15 gennaio 2020 l’Assise, su richiesta del pm Letizia Ruggeri, aveva disposto la confisca dei reperti. Il 4 marzo e il 30 aprile nuove istanze della difesa su modi e tempi dell’esame. Il 26 maggio l’Assise aveva respinto come inammissibile a causa della confisca. Nuova richiesta della difesa il 10 giugno e nuova ripulsa. Doppio ricorso della difesa alla Cassazione che l’aveva accolto il 12 gennaio di un anno fa, rimandando alla Corte d’Assise di Bergamo da cui, in maggio, era uscito l’ennesimo diniego.
Quanto all’altra richiesta della difesa, quella di conoscere lo stato e il luogo di conservazione dei campioni di Dna e degli altri reperti, nel gennaio di quest’anno era stata ritenuta inammissibile dall’Assise. Le 54 provette con i campioni genetici trovati sulla piccola vittima hanno avuto un ruolo determinante nella condanna al carcere a vita di Bossetti, identificato con l’“Ignoto 1“ che aveva impresso il suo codice genetico sugli slip e i leggings di Yara. Il Dna (custodito nell’Ufficio corpi di reato del Palazzo di giustizia di Begamo) è stato conservato con modalità e in un ambiente idonei? No, secondo gli avvocati di Bossetti, che avevano presentato una denuncia. Come conseguenza, la Procura di Venezia ha iscritto nel registro degli indagati il presidente della Prima sezione penale del tribunale di Bergamo, Giovanni Petillo, e la funzionaria responsabile dell’Ufficio corpi di resto, Laura Epis. Per entrambi l’ipotesi di reato è quella prevista dall’articolo 375 del codice penale: frode in processo e depistaggio.