
Claudia Cretti con i genitori
Costa Volpino (Bergamo), 29 ottobre 2018 - «Sa quale fu la prima cosa che mi dissero i medici di Benevento poche settimane dopo che mia figlia si risvegliò dal coma dopo la terribile caduta nel Giro d’Italia? Stia tranquilla signora, Claudia non ha assunto sostanze dopanti. L’incidente non è stato causato dall’assunzione di sostanze proibite... Guardai i dottori allibita e replicai: “Su questo non ho mai avuto alcun dubbio, mia figlia è una sportiva vera e la nostra è una famiglia sana”».
A parlare è Laura Bianchi, psicologa, mamma di Claudia Cretti, la sfortunatissima ciclista di Costa Volpino che nel luglio 2017 fu vittima di un drammatico incidente durante una tappa del Giro femminile. Oggi la 22enne atleta bergamasca sta tornando a una vita normale, gli allenamenti in bici sono quotidiani con il fratello Giacomo, anche lui ciclista. Ma la figura di mamma Laura è importantissima, come genitore e non solo. Perché a lei, al contrario di molti adulti che vorrebbero sempre vedere i figli sul podio, interessa solo che Claudia sia felice. Si diverta. La parola doping la inorridisce. Le accenno al brutto andazzo, troppi ragazzini dopati. Buttata lì così, sembra una notizia sconvolgente, «eppure non è nemmeno sorprendente», conferma la signora Claudia. A riprova che nonostante inchieste, dibattiti e promesse, c’è un sistema che non vuole cambiare. «Il solo fatto che nel ciclismo si debba procedere a controlli antidoping per categorie come quella degli Esordienti (13-14 anni, ndr) dà l’idea di come il fenomeno sia arrivato a livelli preoccupanti», dice la mamma di Claudia. In tutto questo emerge chiara l’inquietante ombra di un ambiente in cui aleggia il triste fantasma dell’omertà. E invece gli occhi per vedere e per indignarsi li hanno tutti. «Certe brutte abitudini cominciano già quando gli atleti sono piccolissimi: a 7-8 anni bisognerebbe andare avanti con spremute d’arancia e invece ci sono già genitori che danno ai figli gli integratori. Il problema vero è quando si va oltre e si capisce che neppure con quelli ce la puoi fare. E a quel punto qualcuno anziché smettere riempie il suo corpo di altre schifezze. Ci sono altri che invece dicono “no” e si fermano quando sono “allievi”. A volte è più facile che non sappia nulla un direttore sportivo di una società, ma un genitore non può non vedere».
È un mondo che conosce molto bene la dottoressa Bianchi. Tutto dipende dall’educazione che viene data ai ragazzi: «La questione doping esiste: c’è un uso illegale di farmaci da parte di giovani atleti, alcuni di solo 14 anni. C’è chi si fa iniezioni di ferro, chi il ferro lo assume per via orale. E c’è poi chi si toglie il sangue quando è in piena forma per poi “rimetterselo” appena ne ha bisogno. Colpa pure di diete assurde: diventi anemico e l’ematocrito si abbassa, perciò se hai bisogno, col sangue liquido diventi più forte. Queste cose ci sono pure nel nuoto e nella ginnastica, ma io dico che la richiesta di essere troppo magri crea comunque anche squilibri psicologici fra i ragazzi». Pratiche che diventano più frequenti negli juniores o negli under 23, «perché lì devono vincere a tutti i costi, perché solo così possono tentare di arrivare a un contratto nel professionismo. Ma io, come mamma e come psicologa l’ho sempre detto ai miei figli: non rovinatevi la vita perché costretti a vincere». Ma perché ci si imbottisce di farmaci per migliorare le prestazioni? Il motivo è sempre uno. La fame di soldi. «È quello il problema vero – conferma mamma Laura –. Nelle categorie maschili esordienti e allievi vincono in media 50 euro a gara, per gli juniores i rimborsi si aggirano sui 150-300 euro al mese. Solo quando sei under 23 nei dilettanti puoi arrivare a 700, addirittura a 1.000 euro al mese. Lì ti si apre un mondo diverso. Ma lo sapete che in alcune gare under 23 partono in 200 e arrivano in 15? La selezione diventa “naturale”, e per passare tra i professionisti devi andare fortissimo».
Per Claudia, che prima dell’incidente aveva un bellissimo futuro davanti, il discorso per fortuna è diverso. «Vero, perché nel mondo femminile di soldi ne girano pochi, e le ragazze percepiscono che a maggior ragione il gioco non vale la candela. Che non ha senso rischiare. E per fortuna certe pratiche sono rarissime. Anzi, le dirò di più: nel mondo maschile la maggior parte dei giovani atleti smette di studiare prestissimo, tutti spinti da genitori troppo ambiziosi. Le ragazze almeno tendono a finire le scuole superiori. Sanno bene di essere in tante e non possono vincere tutte a soli 15-16 anni. Perciò cercano pure strade alternative...».