di Manuela Marziani
Deve andare a processo la strage del Mottarone e devono risponderne due società e sei persone. Almeno questo è quanto chiede la Procura di Verbania che ieri ha depositato un’istanza di rinvio a giudizio per responsabilità amministrativa di Ferrovie del Mottarone e Leitner, il gruppo incaricato della manutenzione, oltre a quello di Luigi Nerini, titolare delle Ferrovie del Mottarone, Enrico Perocchio e Gabriele Tadini, allora rispettivamente direttore d’esercizio e capo servizio dell’impianto, Anton Seeber, amministratore delegato di Leitner, Martin Leitner, consigliere delegato e Peter Rabanser, responsabile del Customer Service. Dopo due anni d’indagini per la tragedia del 23 maggio 2021, quando sulla funivia che collega Stresa alla cima del Mottarone si staccò un cavo facendo precipitare nel vuoto una delle cabine, provocando la morte di 14 persone, ora la parola passa al giudice per le indagini preliminari.
"La Procura di Verbania ha svolto un ottimo lavoro – commenta Giuseppe Zanalda, avvocato che difende Dan e Mirian Biran, nonni paterni dell’unico sopravvissuto, il piccolo Eitan – e ha rispettato i tempi. Subito dopo l’incidente probatorio, ha chiuso le indagini. Ora aspettiamo l’udienza davanti al gup, che si potrebbe tenere in tempi non brevissimi perché gli indagati sono tanti e le loro posizioni diverse. Nell’attesa, si compie un altro piccolo passo verso quella giustizia che la famiglia Biran chiede da anni". In quella domenica che avrebbe dovuto essere spensierata, Dan e Miriam Biran hanno perso il figlio Amit (30 anni), la nuora Tal (27) e il nipotino Tom di due anni che vivevano in Borgo Ticino, a Pavia. Morti anche i nonni di Tal Itshak Cohen, 82 anni, e la moglie Barbara Cohen Konisky, 70, che erano venuti a trovarli. Inoltre tra le vittime anche Silvia Malnati di 26 anni e Alessandro Merlo di 29, che abitavano a Varese. Elisabetta Persanini, Vittorio Zorloni e il piccolo Mattia di 5 anni, che vivevano a Vedano Olona nel Varesotto.
Per accertare eventuali responsabilità, il procuratore Olimpia Bossi e il pm Laura Carrera hanno chiuso le indagini pochi giorni prima del secondo anniversario della tragedia. In quella sede erano state stralciate e poi archiviate le posizioni di sei tecnici di ditte esterne che si erano occupate in subappalto di controlli, lavori sulla funivia e realizzazione della testa fusa. Due gli elementi al centro dell’inchiesta: perché la fune si spezzò e perché il sistema frenante di sicurezza non funzionò per l’inserimento dei cosiddetti forchettoni.
Secondo i periti la fune era corrosa da molto tempo prima dell’incidente ("Il 68% circa dei fili presenta superfici di frattura che testimoniano una rottura", si legge nel documento) e una corretta manutenzione avrebbe potuto rilevarlo. Le accuse contestate a vario titolo sono attentato alla sicurezza dei trasporti, rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni colpose gravissime e, per Tadini e Perocchio, anche il falso.