
I giovani snobbano il Comune. Crolla il mito del pubblico così il rinnovamento è a rischio
Il lungo blocco delle assunzioni negli anni della spending review, ma anche stipendi poco attrattivi e l’immagine di un lavoro senza grosse prospettive. Più ragioni che portano a una conseguenza: negli enti pubblici mancano lavoratori e, nello specifico, lavoratori giovani, con buona pace del ricambio generazionale necessario per l’innovazione. La situazione è comune a tutta Italia, tanto che dall’elaborazione dei dati di Istat e OpenBADP (Banca dati della pubblica amministrazione del Ministero dell’Economia) fatta da Openpolis risulta che i lavoratori nel settore pubblico con meno di 30 anni sono circa il 4,7% del totale mentre quelli tra i 30 e i 39 solo il 13,3% a livello nazionale; nei Comuni poco più dell’1% ha meno di 30 anni.
In Lombardia solo in 26 Comuni gli under 35 rappresentano più della metà del personale comunale e solo in 4 sono addirittura il 100%: Duno in provincia di Varese, Trezzone nel Comasco, Ornica nella Bergamasca e Parlasco nel Lecchese. Tra le città capoluogo, Sondrio è quella col personale comunale più giovane: il 10% è under 35. Segue Mantova col 9%, Pavia con l’8%, Bergamo e Milano col 7%, Brescia e Como si fermano al 5%, Cremona e Monza al 4%, Varese e Lecco al 3%; chiude Lodi col 2%. Tra le province, la media più alta è nella Bergamasca (9,10%), mentre Brescia è al 7,44%, Como al 5,9%, Lecco al 6,98%, Sondrio al 7,07%. Si tratta di percentuali comunque basse, che preoccupano perché l’inclusione di giovani nella pubblica amministrazione contribuisce al rinnovamento del sistema e all’integrazione di nuove competenze (tanto che anche il Pnrr lo pone come obiettivo). Aspetti non di poco conto se si considera che gli investimenti per l’innovazione del sistema della pubblica amministrazione richiedono non solo strumenti, ma anche persone con competenze digitali.
"I giovani sono necessari nella Pubblica amministrazione – spiega Francesca Baruffaldi, della segreteria FP Cgil Brescia – dove sono arrivati e sono rimasti, si è vista la differenza". Col blocco delle assunzioni più che decennale sono saltate di fatto intere generazioni. "C’è una questione di stipendi, di costo della vita, – commenta Baruffaldi – ma c’è anche un tema culturale. In questi anni la pubblica amministrazione è stata bistrattata, in alcuni casi dallo stesso Stato che ha fatto un marketing negativo su se stesso. Giovani che hanno la prospettiva di lavorare fino a 70 anni per effetto dell’allungamento delle pensioni si guardano dall’entrare in luoghi di lavoro dipinti come senza stimoli e possibilità di carriera. Per convincerli non basta più il ‘mito’ del posto fisso e anche la retribuzione non è tutto: bisogna valorizzare le professionalità".