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Incidente mortale in motoslitta: rifugista a giudizio per omicidio colposo

Omicidio colposo. È l’accusa di cui dovrà rispondere a processo Pablo Ayala Iacucci, bresciano di 36 anni, il gestore del rifugio Albani, a Colere, in Val di Scalve, dove il 19 febbraio del 2010 aveva perso la vita Sergio Pennacchio, 25 anni, di Monticelli Brusati, collaboratore della struttura di Michele Andreucci

Una motoslitta

Colere (Bergamo), 14 novembre 2014 -  Omicidio colposo. È l’accusa di cui dovrà rispondere a processo Pablo Ayala Iacucci, bresciano di 36 anni, il gestore del rifugio Albani, a Colere, in Val di Scalve, dove il 19 febbraio del 2010 aveva perso la vita Sergio Pennacchio, 25 anni, di Monticelli Brusati (Brescia), collaboratore della struttura, assunto a chiamata due mesi prima, che era stato travolto da una valanga mentre, a bordo di una motoslitta e su disposizione di Ayala, stava battendo il tracciato che va dall’arrivo della seggiovia (accanto al rifugio Cima Bianca) all’Albani, perché in serata era attesa una comitiva di clienti. Lo ha deciso ieri il gup Ezia Maccora, che ha rinviato a giudizio l’uomo. La prima udienza del dibattimento è stata fissata il 12 maggio prossimo.

Due anni fa la Procura di Bergamo aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo, alla quale si erano però opposti i familiari della vittima, assistiti dall’avvocato Roberto Bruni. Ieri il giudice dell’udienza preliminare ha deciso che la vicenda vada approfondita a processo, per meglio chiarire eventuali responsabilità del gestore del rifugio. La tragedia si era verificata intorno alle 15,30, a circa 2mila metri di quota. Pennacchio era in sella ad una motoslitta insieme a una collega, Giulia Visinoni, 25 anni, di Rovetta. All’improvviso Pennacchio e la collega erano stati travolti da una valanga con un fronte di circa 100 metri. Il mezzo si era ribaltato: la 25enne di Rovetta, sbalzata, era riuscita a rimanere sul percorso per il rifugio, illesa. Lui, invece, era finito con la motoslitta venti metri più sotto ed era rimasto sepolto sotto mezzo metro di neve.

A dare l’allarme era stata Giulia Visinoni, raggiunta dopo pochi minuti da un’altra collaboratrice del rifugio. Scavando con le mani nella neve, erano state proprio le due ragazze, nei minuti successivi l’incidente, a individuare una mano di Pennacchio e a liberargli la faccia in attesa dei soccorritori. Il ferito era stato completamente estratto dopo due ore e trasportato all’ospedale di Piario, dove era stato sottoposto a un esame del sangue per verificare la concentrazione di potassio, il cui valore indica la compatibilità con la vita. Infine l’uomo era stato trasferito agli allora Ospedali Riuniti di Bergamo, dove, nonostante gli sforzi dei medici, era deceduto intorno a mezzanotte.