Clusone (Bergamo) – “Non credo più nella giustizia. Ho ottant’anni, ne sono passati trenta da quando mi hanno portato via mia figlia". È affacciata al secondo piano del piccolo condominio di via Mazzini a Clusone dove la figlia ha vissuto gli ultimi giorni felici prima di essere trucidata. Il dialogo con Maria Facchi, la madre di Laura Bigoni, si avvia faticosamente, dapprima attraverso le sbarre di una cancellata, poi nel cortile sotto un sole tornato prepotente, alla fine nel piccolo appartamento. "Vivo sei mesi all’anno a Milano e sei a Clusone. Da quando è morto mio marito, sette anni fa, dormo nella camera di Laura, nello stesso posto dove l’hanno uccisa". È il suo quotidiano atto di amore per la figlia che le è stata strappata.
"Ogni volta piango. Piango quando leggo come l’hanno uccisa, quando ripenso a come l’hanno dipinta gli avvocati. Tutto falso: era una ragazza brava, seria. Bella. Innamorata. Di là ci sono tante fotografie". Il salottino è stata trasformato in un piccolo sacrario. Le immagini di Laura, un viso dolce che sembra restio ad aprirsi in un sorriso. Il ritratto dipinto da Dario Fo. Fo e Franca Rame abitavano nel palazzo in corso di Porta Romana, a Milano, dove i Bigoni conducevano la portineria. Il futuro Premio Nobel si era anche offerto di provvedere per un avvocato. "Mio marito e io siamo nati qui, i nostri cognomi sono di Clusone. Angiolino lavorava in Svizzera. Poi ci hanno detto che a Milano c’era una bella portineria. Ci siamo stati per trent’anni. Come la rimpiango. Tutte le domeniche venivamo a Clusone. A Laura piaceva tanto".
Clusone, la casa dei fine settimana, delle vacanze, l’approdo sicuro nella quiete della Val Seriana. Oggi per mamma Maria è un motivo di ricordo e di rimpianto. "Sono stata io a dire a Laura di venire qui, che sarebbe stata tranquilla da quello lì. Volevo farglielo dimenticare". "Quello lì" nelle parole di Maria a volte diventa "lui" ma è sempre Jimmy, un pensiero fisso per l’uomo pienamente assolto dalla giustizia. "Ho il rimorso di averla mandata io in discoteca, quella sera. ‘Vai, le avevo detto, svagati, magari conoscerai un altro’". Quelle trascorse alla discoteca Collina Verde sono le ultime ore felici di Laura. Conosce Marco Conti, vent’anni, tornitore di Endine Gaiano. Entrerà nel giallo come il "biondino" anche se la sua capigliatura tirata con il gel è castana. Lui l’ha riaccompagnata a casa. Hanno visto una luce in casa. Si sono allontanati. Quando sono tornati la luce era spenta. Sono tornati. Laura è salita. Non è ricomparsa. Marco ha suonato senza risposta. È uscita invece l’ombra di un uomo di mezza età.
Uno dei fantasmi di quella notte di intrighi e morte. Come l’apparizione di un taxi targato Milano e quella di un’"ombra femminile", con i capelli lunghi. Maria piange altre lacrime. È domenica, primo giorno di agosto del 1993. "Mi ha chiamato mio fratello: ‘Laura sta male, venite su’. C’era un traffico terribile. Siamo arrivati e abbiamo saputo che era morta". Conclusione di un viaggio breve, troppo breve nell’esistenza. Cosa avrebbe fatto Laura se fosse vissuta? "Era estetista, lavorava già in casa. Per arrotondare faceva le pulizie in Comune a Milano. Davanti casa c’era un bel negozio di estetista. Le avevo promesso di acquistarlo. Il nostro sogno".