Solo un 5% ha avuto l’applicazione del contratto Federculture, mentre il 95% si divide tra contratti multiservizi (25%), servizi fiduciari (9%), cooperative sociali (10%) e contratti del commercio (10%). Morale: il 73% dei lavoratori dipendenti nel mondo della cultura percepisce meno di 8 euro all’ora, mentre il 62% degli autonomi ha dovuto aprire la Partita iva come scelta obbligata, senza neanche aver stabilito un monte ore per tariffa (76%).
Sono alcuni dei dati raccolti tra gli operatori del mondo della cultura in Lombardia dall’associazione “Mi riconosci“. "La qualità del lavoro è molto bassa: partendo dalla legge Ronchey del 1993 che ha legalizzato l’esternalizzazione dei servizi e ha permesso di integrare il personale con il volontariato, si è creato lavoro povero", ha spiegato Federica Pasini, dell’associazione, intervenuta nell’incontro organizzato ieri a Brescia da Collettivo NN in spazio Aref. "Nella Capitale italiana della cultura mancava un po’ di dibattito critico su cosa sia la cultura e qual è il senso del lavoro culturale – spiega Salvatore Sorace, del Collettivo NN - per questo abbiamo acceso i riflettori su questi temi".
Dall’indagine è emerso che in molte istituzioni culturali di Bergamo sono particolarmente diffusi i servizi fiduciari, nel Bresciano il contratto multiservizi. Il risultato lo racconta Catia, lavoratrice esterna dei Musei Nazionali di Val Camonica, che fa parte del collettivo 5.37. "È la paga oraria che volevano offrici. Io sono stata assunta sette anni fa tramite cooperativa, come custode in un sito Unesco, in affianciamento ai dipendenti statali per le aperture domenicali. Allora prendevo 8 euro all’ora, dopo 7 anni siamo arrivati, durante l’ennesimo rinnovo dell’appalto, a una proposta di 5,37 euro poi portata a 6,25 in base all’accordo sindacale. Tutto a norma di legge: vanno cambiate le regole, mi chiedo che senso abbia parlare di patrimonio dell’umanità, se le persone sono trattate così".Federica Pacella