FRANCESCO DONADONI
Cronaca

Bergamo, maltrattamenti ai bimbi dell’asilo nido: maestra rischia 4 anni e mezzo

La richiesta del pm che nel corso delle requisitoria ha parlato di “umiliazioni, aggressioni verbali e fisiche, ma anche indifferenza e trascuratezza”. La difesa chiede l’assoluzione

La Squadra mobile aveva messo cimici e microcamere nella struttura

La Squadra mobile aveva messo cimici e microcamere nella struttura

Bergamo – Per il pm Monzio Compagnoni il dibattimento ha provato le contestazioni mosse a carico dell’imputata Paola M., educatrice e titolare di un asilo nido di Bergamo, a processo davanti al tribunale collegiale (presidente Ingrascì, a latere le colleghe Garufi e Mazza) per maltrattamenti ai bimbi che frequentavano il nido.

Al termine della sua requisitoria il pm ha chiesto la condanna a 4 anni e sei mesi. L’indagine ha preso il via nel novembre 2019, quando una madre si era rivolta alla polizia. Il suo bimbo, che aveva iniziato a frequentare l’asilo, di notte si svegliava e si calmava solo quando veniva preso in braccio. La Squadra mobile aveva messo cimici e microcamere nella struttura, prima della chiusura per il lockdown, una registrazione finita agli atti. “L’ex titolare dell’asilo ha posto in essere verso alcuni bambini delle condotte maltrattanti, umiliazioni, aggressioni verbali e fisiche, ma anche indifferenza e trascuratezza dei loro bisogni”, ha sottolineato il sostituto nel suo intervento. La struttura, privata e dal 2012 è stata accreditata dal comune di Bergamo, chiamato a processo come responsabile civile.

L’avvocato Zonca ne ha chiesto il proscioglimento. Dai banchi della difesa, retta dagli avvocati Pezzotta e Vieri, è stata invocata l’assoluzione dell’imputata dal reato di maltrattamenti, aggravati perché verso minori, ”perché il fatto non sussiste” e, in subordine il riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante. Pezzotta ha rilevato che, se pure nei video degli inquirenti (le riprese sono durate cinque giorni) si contano alcuni episodi, non vi è abitualità, né una persistente attività vessatoria, ritenendo che “non ci sono tracce” di condotte reiterate o di sofferenze. Evidenziando come l’imputata “è stata molto dura con sé, riconoscendo gli errori”, ricordando che il suo lavoro è proseguito per 15 anni durante i quali ha raccolto solo complimenti, sino al finale dove “è emersa una fragilità”. I periodi in cui si sarebbero svolti i fatti vanno dal 2012 al 2016 e dal 2019 al 2020