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Il presidente del Centro islamico di via Cenisio: vogliamo la moschea ma secondo le regole

Mohamed Saleh, 59 anni, egiziano, è in Italia dall’82. Stimato e integrato senza problemi nella realtà bergamasca, da sempre nemico degli estremismi e interlocutore privilegiato delle autorità locali, dall’estate scorsa ricopre la carica di presidente del Centro islamico di via Cenisio, a Bergamo di ROCCO SARUBBI

Mohamed Saleh (De Pascale)

Bergamo, 17 gennaio 2016 - Mohamed Saleh, 59 anni, egiziano, è in Italia dall’82. Stimato e integrato senza problemi nella realtà bergamasca, da sempre nemico degli estremismi e interlocutore privilegiato delle autorità locali, dall’estate scorsa ricopre la carica di presidente del Centro islamico di via Cenisio, a Bergamo. E’ subentrato a Imad El Joulani, medico giordano indagato per appropriazione indebita dopo la denuncia dello stesso Saleh e del tesoriere dell’Ucoii Italia, secondo i quali avrebbe utilizzato parte dei fondi arrivati dalla Qatar Charity Foundation per la realizzazione di un nuovo centro culturale islamico polivalente (circa 5 milioni di euro) indirizzandoli su di un cantiere in via San Fermo, che non era il progetto originale previsto in via Baioni, approvato dai finanziatori. Ora il cantiere di via San Fermo è al centro di verifiche urbanistiche e di un duro scontro politico tra le forze polotiche.

Signor Saleh, è preoccupato della situazione che si è venuta a creare?

«Ciò che più mi preoccupa in questo momento è la spaccatura che si è creata nella comunità islamica bergamasca. Una contrapposizione che esaspera gli animi e si presta a strumentalizzazioni politiche. L’episodio accaduto mercoledì sera, dopo la preghiera al centro di via Cenisio (ndr: dove si sono verificati tafferugli tra fazioni contrapposte per il progetto di un nuovo luogo di culto) è un segnale di come la tensione sia alta. Il mio tentativo ora è quello di far capire che la moschea non deve essere fatta a tutti i costi, ma seguendo le regole. Questa vicenda mi dispiace anche per l’immagine che diamo alla città, con cui abbiamo sempre avuto un buon rapporto».

E i rapporti con El Joulani come sono?

«Fino a qualche tempo fa erano buoni. Ma quando abbiamo scoperto come aveva usato i soldi fatti arrivare tramite il Centro di via Cenisio, io e il direttivo che da giugno mi affianca ci siamo sentiti presi in giro. Comunque abbiamo in agenda un incontro con lui, forse il 24 gennaio, per cercare di placare gli animi. All’incontro parteciperanno il direttivo, un rappresentante del Comune, e uno dell’Ucoi e un altro della Qatar Charity Foundation».

A Bergamo serve una nuova moschea?

«Certamente, ma non di proporzioni gigantesche come ho letto in questi giorni. Serve perchè la comunità islamica cresce ed è sempre più integrata a Bergamo».

Dove potrebbe sorgere?

«Stiamo valutando alcune ipotesi. Potrebbe essere l’area del centro Galassia di via Zanica, oppure l’area di Azzano che era stata acquisita dal ministero delle Finanze. Ma sono solo ipotesi. Di certo c’è che la moschea dovrà sorgere in una zona di facile acccessibilità, distante dal centro abitato. Dovrà essere dotata di parcheggi in modo da evitare disagi con gli abitanti».

Quanti sono i musulmani nella Bergamasca?

«Difficile dare un numero: posso dire 5-6mila, in vari luoghi di culto sparsi in provincia. Il centro di via Cenisio a Bergamo è frequentato mediamente da 1.200 persone».

C’è chi accusa la Qatar Charity Foundation di finanziare la jiihad. Che ne pensa?

«Già altre volte mi è stato chiesto: a me non risulta».

Come sono i rapporti con il Comune?

«Buoni. Con il sindaco Giorgio Gori, ma anche con il suo predecessore Franco Tentorio abbiamo sempre cercato il dialogo. E così continueremo a fare»