Terno d’Isola (Bergamo), 10 settembre 2024 – Pedala nel buio. È la notte dell’omicidio, tra il 29 e il 30 luglio. Moussa Sangare ha appena accoltellato con quattro fendenti Sharon Verzeni, 33 anni, vittima scelta in modo casuale. Una ragazza a lui sconosciuta, incontrata mentre lei ascolta la musica con le cuffiette. Scruta il cielo e guarda le stelle, Sharon, mentre cammina sulla strada del rientro a casa, in via Merelli. Sangare spinge con forza sui pedali, si allontana da via Castegnate, a Terno d’Isola. È l’una, 12 minuti e 19 secondi: sono passati 22 minuti dal delitto quando il giovane, nato a Milano da una famiglia del Mali, senza un lavoro, reo confesso dell’omicidio, viene immortalato da una telecamera alla rotatoria di via XXV Aprile, a Chignolo d’Isola. Arriva da via Castegnate, incrocia un’auto e si ferma brevemente prima di scattare a tutta velocità.
L’errore che lo incastra
Sono queste le immagini più nitide, fondamentali agli investigatori, per ricostruire gli eventi di quella notte. Arrivano i primi soccorritori, Sharon è a terra agonizzante, mentre Moussa scappa via in bicicletta con il coltello sporco di sangue infilato nello zaino. Pedala verso Suisio, dove abita da circa un mese in un appartamento occupato abusivamente. La madre e la sorella lo hanno denunciato per maltrattamenti e lo hanno allontanato da casa. Moussa scappa attraverso i campi, come ammetterà durante l’interrogatorio davanti al gip. Vuole evitare le telecamere e coprirsi la fuga, ma non si accorge che a Chignolo, sopra la rotatoria, un impianto di videosorveglianza lo riprende: le immagini rientrano nell’ordinanza di custodia cautelare del giudice delle indagini preliminari Raffaella Mascarino. Grazie a quei filmati, i carabinieri, coordinati dal pm Marchisio, riescono a registrare le caratteristiche fisiche di Sangare, il suo abbigliamento (jeans chiari, scarpe da ginnastica, maglia a maniche corte, zaino nero) e la mountain bike sulla quale viaggia, con un catarifrangente ben visibile sulla ruota posteriore.
Quando gli viene mostrato il video che riprende il suo percorso notturno, Sangare ammette di essere stato sul luogo del delitto, indicando come autore un altro soggetto di cui fornisce una “descrizione sommaria e incoerente”. Prima falsità. In particolare dice che Sharon “sarebbe stata in compagnia di un amico con cui avrebbe discusso e che quindi l’avrebbe accoltellata minacciando anche lui che aveva assistito al fatto”. Una versione bugiarda che fa a pugni con i filmati in cui si vede la vittima camminare in assoluta solitudine e indisturbata per tutto il percorso antecedente all’omicidio. Una delle tante menzogne di Moussa, trasferito per motivi di sicurezza da Bergamo al carcere di San Vittore dove in settimana (appena sarà fissato il giorno) riceverà la visita del suo difensore, avvocato Giacomo May.
Il punto sulle indagini
Sul fronte delle indagini, dopo che sabato i carabinieri e i sommozzatori volontari sono tornati a Medolago per cercare nel fiume le scarpe e la seconda borsa di cui Moussa si è liberato gettandola in acqua, in Procura si attendono a giorni i risultati dei Ris, accertamenti irripetibili sul coltello usato per commettere l’omicidio e sui vestiti che indossava Sharon. In particolare l’attenzione è rivolta alla maglietta, nella parte alta sinistra, dove potrebbe essere riscontrata una traccia biologica. Moussa si è appoggiato alla spalla di Sharon prima di pronunciare le parole “scusa per quello che sto per fare”. È il ritornello di una canzone del rapper Izi che aveva cantato nel 2016.