Bergamo, 20 ottobre 2019 - Quando ha scoperto che l’attuale compagno, nel 2008, aveva ucciso a Bergamo la sua fidanzata 21enne, ha deciso di lasciarlo. L’uomo, però, Mohamed Safi, tunisino di 36 anni - che scontava nel carcere di Torino la condanna a 12 anni rimediata il 17 marzo 2009 per l’omicidio avvenuto nella Bergamasca, con il permesso di lasciare l’istituto di pena per lavorare fino alle 2 di notte in un bistrot - nella notte tra venerdì e sabato ha cercato di sgozzarla e l’ha sfregiata gravemente al viso con una bottiglia di vetro rotta. Alla fine è stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio.
L’aggressione è avvenuta intorno all’una in strada. I due si erano visti nel quartiere di Torino Barriera di Milano ed erano saliti su un tram della linea 4 per andare a casa della donna, in corso Giulio Cesare. Una volta scesi dal tram, hanno iniziato a litigare; l’uomo l’ha gettata a terra e si è avventato sulla 44enne con una bottiglia di vetro stretta nella mano, cercando di sgozzarla daventi agli sguardi atterriti di alcuni passanti, che hanno chiesto aiuto. Prima dell’arrivo della polizia, Safi è riuscito a sfregiare al volto la donna, quindi è fuggito a piedi ma è stato arrestato in via Leini dagli agenti della questura che avevano circondato la zona. La vittima è stata ricoverata all’ospedale Maria Vittoria in gravi condizioni: dovrà essere sottoposta a un intervento di ricostruzione maxillofacciale.
La relazione tra i due era iniziata circa 6 mesi fa, ma quando la compagna aveva scoperto su internet i precedenti del tunisino, aveva deciso di troncare la relazione. Il 9 giugno 2008, infatti, Safi aveva ucciso, nel monolocale di via Moroni a Bergamo, dove viveva con la moglie e i due figli (in quel momento in Tunisia), la sua fidanzata, Alessandra Mainolfi: dopo aver sniffato parecchia cocaina, l’aveva pugnalata al petto e all’addome e poi aveva chiamato le forze dell’ordine dicendo: ”Ho ucciso il mio amore”. Il 17 marzo del 2009, al termine del processo celebrato con il rito abbreviato, il gup del tribunale di Bergamo, Bianca Maria Bianchi, lo aveva condannato a 12 anni di reclusione per omicidio volontario (il pm Ilaria Perinu aveva chiesto 15 anni di carcere). Per l’accusa , l’extracomunitario aveva premeditato l’omicidio, per la difesa, rappresentata dall’avvocato Michele Coccia, l’uomo aveva ucciso senza volerlo. «Non so cosa mi è preso – aveva detto agli inquirenti –. Ho perso la testa, non volevo ucciderla. Abbiamo iniziato a discutere, poi non ricordo più cos’è successo. So solo che mi sono trovato improvvisamente con un coltello insanguinato in mano, a terra c’era Alessandra ferita». Quando i soccorsi erano arrivati, la giovane, che viveva a Pradalunga con la madre e due sorelle, era riversa su una poltrona, priva di sensi. Il medico aveva tentato di rianimarla per oltre mezz’ora, invano: la ragazza era morta a causa di due coltellate all’addome.