FRANCESCO DONADONI
Cronaca

I due ragazzini minacciati da Moussa: “Ha mostrato il coltello. Voleva la mia maglia del Psg, gli ho detto che era tarocca”

I quindicenni hanno incontrato il killer di Sharon prima dell’agguato. Alla vittima ha detto “scusa” come nel ritornello della sua canzone rap. E poi la scoperta: una delle telecamere utilizzate nelle indagini era finita in Polonia per manutenzione

Bergamo – Hanno 15 anni. Sono italiani (uno di seconda generazione). La sera dell’omicidio, tra il 29 e il 30 luglio, erano in giro in bicicletta tra le vie di Chignolo d’Isola. Sono loro che hanno incrociato Moussa Sangare prima che arrivasse in via Castegnate, a Terno, alla ricerca “del bersaglio più vulnerabile” per dare sfogo a quelle strane voci che sentiva dentro. Sulla sua strada ha trovato Sharon Verzeni, sola, mentre passeggiava ascoltando la musica con le cuffiette. Due ragazzini, dunque, testimoni importanti per le indagini. A individuarli sono stati i carabinieri, che martedì li hanno convocati, uno alla volta. Non si sono esposti prima per paura (“Ci ha minacciato”) ma superato il timore iniziale hanno confermato quanto emerso dalle indagini. E cioè di aver incontrato Sangare.

Lui si è fermato, ha fatto apprezzamenti sulla maglietta da calcio (quella del Paris Saint Germain) che indossava uno dei due. Ha chiesto se fosse originale. Il 15enne, per paura che potesse portargliela via, ha risposto che era “tarocca”. A quel punto Moussa si è allontanato mostrando il coltello (con il quale ha aggredito Sharon) e mimando un gesto con la mano, che si potrebbe leggere come una sorta di minaccia. Per questo i due ragazzini non si sono mai esposti nei giorni successivi all’omicidio. Da un lato la paura e dall’altra il consiglio dei genitori per evitare conseguenze.

Intanto emergono altri particolari della vita di Moussa Sangare, 31 anni, accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi. Tasselli che incastrati ne tratteggiano la personalità. Dal sogno irrealizzato di diventare rapper, il viaggio negli Usa, il rientro a Suisio, dove vivono la mamma e la sorella. Lui era un corpo estraneo alla famiglia. Viveva alla giornata. Notte fuori casa, sveglia tardi. Prima cosa, accedere a Internet wi-fi. Due telefoni cellulari. Non lavorava, si arrabattava con le “royalties”, piccole entrate che arrivavano dalle canzoni, ha detto. Poca roba. Per arrotondare rubava biciclette.

Il sogno infranto della musica. Moussa ha partecipato al ritornello di una canzone scritta dal rapper Izi. In una strofa cantava “scusa” e “scusa” ha detto mentre accoltellava Sharon. A casa aveva un ceppo da sei. Tre lame le ha gettate nell’Adda, un coltello l’ha utilizzato per uccidere, un altro lo hanno trovato i carabinieri durante il sopralluogo a Suisio. Ma nella vita tribolata di Moussa trovano posto anche un paio di denunce per maltrattamenti alla sorella Awa, un campanello d’allarme.

L’episodio più grave è dell’11 aprile: Moussa minaccia Awa con un coltello e le sferra un pugno (prognosi di un giorno). L’8 maggio intervengono i carabinieri, il giorno successivo Awa fa denuncia e il 10 viene sentita dalla pg. Scatta il codice rosso, ma per il fratello non arriva nessuna misura cautelare: si era allontanato da Suisio (quindi non c’era più il pericolo di reiterazione del reato) e sul suo conto non era emersa nessuna problematica di tipo psicologico. Erano stati allertati anche i servizi sociali. Quanto alle telecamere usate per le indagini, si è saputo che tre erano malfunzionanti: una è stata mandata addirittura in Polonia per essere riparata.

Intanto Moussa Sangare sarà trasferito dal carcere di Bergamo: l’assassino sarebbe stato bersagliato da un lancio di bombolette incendiarie da parte degli altri detenuti nel penitenziario di via Gleno.