Una data per mettere un punto fermo anche se non definitivo nella storia infinita dei reperti del caso Yara Gambirasio. La data è quella del prossimo 15 febbraio. Il luogo è la Corte di Cassazione. I giudici della quinta sezione penale dovranno decidere sul ricorso “straordinario“ degli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, difensori di Massimo Bossetti (all’ergastolo definitivo nel carcere di Bollate per l’omicidio della tredicenne di Brembate di Sopra).
Al centro della interminabile saga giudiziaria i reperti: 54 provette con il Dna di “Ignoto 1“ rimasto su slip e leggings della vittima e in seguito attribuito a Bossetti, la felpa, il giubbotto, i leggings, gli slip, la biancheria, le scarpe che la piccola ginnasta indossava quando scomparve, la sera del 26 novembre del 2010, per essere ritrovata, senza vita, tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, in un campo a Chignolo d’Isola. La Suprema Corte deve decidere se la difesa ha il diritto di analizzare (come ripetutamente richiesto) i reperti o se invece l’esame deve rimanere circoscritto entro i limiti fissati fino a questo momento: una presa visione da parte dei legali di Bossetti e dei loro consulenti e non altro. Qualche data per sintetizzare una vicenda lunga, tortuosa, fatta di rimpalli fra Bergamo e Roma. Il 27 novembre del 2019 la Corte d’Assise di Bergamo autorizza l’esame dei reperti.
La mattina dopo gli avvocati di Bossetti notificano la decisione alla Procura e all’Ufficio corpi di reato e chiedono la conservazione dei reperti. Pochissimi giorni ancora e il 2 dicembre il presidente della prima sezione penale, Giovanni Petillo, invia all’Ufficio corpi di reato del tribunale bergamasco un provvedimento in cui viene precisato come l’autorizzazione sia da intendersi come "mera ricognizione dei corpi di reato (...) rimanendo esclusa qualsiasi operazione di prelievo o analisi degli stessi": quindi presa visione (alla presenza della polizia giudiziaria). Nessun esame invasivo. Non si potranno toccare gli abiti di Yara. Non sarà possibile cercare nuove risposte nei campioni genetici.
Un salto di alcuni anni. Quelli che vedono respinte le istanze della difesa per conoscere tempi e modalità di un’operazione comunque autorizzata. Si arriva al 19 maggio del 2023. La prima sezione penale della Cassazione accoglie con rinvio a Bergamo il ricorso degli avvocati di Bossetti e annulla l’ordinanza del 21 novembre del 2022 con cui la stessa Assise bergamasca, come giudice dell’esecuzione, ha detto l’ultimo "no".
L’autorizzazione alla difesa "deve ritenersi irrevocabile, valida, vigente, intangibile e non può essere in alcun modo discussa". Viene consentito l’accesso ai reperti nei limiti della presa visione. Quindi nessun esame invasivo. L’appuntamento per fissare le modalità operative è il 20 novembre. Ma l’udienza alla Corte d’Assise di Bergamo viene rinviata. Cosa è accaduto? I difensori del muratore di Mapello si sono rivolti alla Cassazione con un "ricorso straordinario per errore materiale o di fatto". Quello di Salvagni e Camporini è un ricorso particolarmente tecnico, con numerosi richiami a sentenze delle Sezioni Unite. I capisaldi sono soprattutto due. Un giudice non può modificare una sua precedente decisione, correggendola, pena lo stravolgimento del nostro sistema processuale, scrivono i legali di Bossetti.
Il 27 novembre del 2019 la Corte d’Assise di Bergamo ha ammesso l’analisi dei reperti, in particolare di quelli biologici, da parte della difesa e non solo la loro osservazione. E la sentenza di maggio della Cassazione ha ribadito che il provvedimento del novembre 2019 è intangibile e irrevocabile. Quella decisione va rispettata, è un pietra miliare, inamovibile. Ma, sostiene la difesa dell’ergastolano, il pronunciamento della Cassazione incorre in un errore di "lettura" del provvedimento bergamasco del 2019, attribuendogli un contenuto differente.
Sbaglia quando ritiene che autorizzasse la sola osservazione dei reperti, quando invece ne ammetteva l’analisi. Secondo. I giudici romani hanno inserito nella loro sentenza il provvedimento del presidente Petillo che delimitava il perimetro in cui andava circoscritto l’esame dei reperti. Ma per gli avvocati di Bossetti si trattava di una "nota" indirizzata esclusivamente all’Ufficio corpi di reato e non alla difesa. A febbraio la Cassazione deciderà in uno o nell’altro senso: analisi dei reperti o solo presa visione. Conosciuta la decisione, se non ci saranno sorprese o cascami, la Corte d’Assise di Bergamo stabilirà come attuarla.