Bergamo, 14 agosto 2024 – Bloccato per almeno due settimane il rimpatrio dei 57 orfani ucraini, bambini e adolescenti tra i 6 e i 16 anni, che si trovano nella Bergamasca dall'inizio del conflitto nel loro Paese d'origine. Si tratta di una decisione della questura di Bergamo.
Kiev ne aveva chiesto tramite il consolato ucraino in Italia il rimpatrio immediato ma contro questa ipotesi si sono subito schierate le agenzie internazionali per la protezione dei minori, da Unhcr a Unicef, e i tutori di 34 di questi orfani, che avevano formalizzato una richiesta di protezione internazionale. Per ora quindi non partirà nessuno dalle strutture di accoglienza di Rota Imagna, Pontida e Bedulita.
Il gruppo di ragazzini era arrivato nella Bergamasca nel marzo del 2022 assieme ad alcuni educatori ed erano stati subito accolti dalla popolazione bergamasca. Il gruppo proveniva da due orfanotrofi di Berdyansk, città sul Mar Nero da dove erano fuggiti mentre avanzavano le truppe russe. La richiesta di rimpatrio era stata fissata per dopodomani, 16 agosto, ma ora è stata per l'appunto congelata dalle autorità italiane. Anche perché molti degli orfani sono in cura negli ospedali di Bergamo per diverse e gravi patologie. Il perché di tanta fretta nel voler richiamare in patria questi bambini, peraltro senza famiglia, non è chiaro: secondo le autorità italiane deve prevalere il loro interesse e dunque per ora continueranno a essere ospitati nel nostro Paese.
Per scongiurare il rimpatrio, circa un mese fa, le famiglie affidatarie di alcuni bambini avevano anche lanciato una petizione su Change.org. “Siamo molto preoccupati per il futuro di questi bambini”, aveva scritto Michela Noris, che pubblicando la petizione si era atta portavoce. “La guerra in Ucraina purtroppo non è terminata, il trasferimento dei ragazzi in questo momento di totale insicurezza è davvero necessario?”, si domandava Noris. “Possibile che non ci sia una soluzione alternativa?”. Per questo, scopo della petizione è “arrivare al cuore delle persone e delle istituzioni. Fermo restando che nessuno di noi vuole sostituirsi agli organi competenti o proporre soluzioni insostenibili, siamo tutti pienamente consapevoli che la questione logistica esiste e va affrontata con i dovuti modi, ma ci rivolgiamo a chi può fare qualcosa di concreto per loro”.
E aveva raccontato: “Siamo partiti con qualche pomeriggio insieme fino a dicembre 2023 quando la forma di accoglienza si è ulteriormente ampliata con la possibilità di far trascorrere la notte nelle nostre case, ricordiamo ancora la felicità dei due fratellini accolti da noi quando al mattino hanno potuto fare colazione in pigiama o quando ci hanno svegliati con il solletico. Piccoli momenti di quotidianità familiare che significano tanto per chi una famiglia non ce l’ha. Aprendo le porte delle nostre case non è sempre stato facile capire quale fosse la cosa migliore da fare, ma insieme abbiamo costruito rapporti sani, i bambini aspettano con ansia di stare nelle varie famiglie perché nonostante il tempo trascorso insieme sia poco, percepiscono e vivono le nostre case come un posto sicuro dove qualcuno li ha accolti, difesi, guardati, corretti, aiutati. Hanno nuovamente sperimentato il concetto di famiglia”. Infatti, anche gli stessi bambini e ragazzi si erano detti contrari all’ipotesi di tornare in patria.