L’altalena per disabili all’interno del parco giochi Don Agostinelli di Villongo San Filastro, dove lunedì sera si è consumata la tragedia della piccola Ritaj Lahmar, 6 anni appena, era a norma? Era in buone condizioni e funzionava a dovere? Interrogativi su cui dovrà pronunciarsi il consulente della procura, ingegnere Paolo Panzeri nominato ieri dal pm Letizia Alosio, titolare del fascicolo aperto per omicidio colposo a carico di ignoti. Il perito dovrà stabilire se il gioco fosse in regola, se nell’area parco giochi ci fossero cartelli che regolamentano dell’area verde, compresi i giochi, eventuali responsabilità. Ieri nel frattempo alla camera mortuaria del Papa Giovanni XXIII è stata eseguita l’autopsia sul corpicino della piccola. Il medico legale incaricato, dottor Taiana, ha svolto accertamenti, esami, tra cui una Tac per chiarire al meglio la dinamica dell’evento e l’esatta causa del decesso. Ritaj ha riportato sia un trauma alla nuca che un trauma al viso, l’esame dovrà stabilire quale è stato il colpo fatale.
I genitori della piccola si sono affidati all’avvocato Laura Innovati. Sicuramente la mamma sarà sentita, così come le altre persone che erano al parco. Intanto è emerso qualche particolare di quanto accaduto lunedì sera. La piccola Ritaj, origini marocchine, (avrebbe compiuto sette anni a ottobre) viveva a Credaro con i genitori, mamma Fatima, padre Nabil, magazziniere, e tre fratelli, di 16 anni, 11 anni e 3 anni. Lei era la terza. Era al parco giochi con la mamma e due fratelli. Ritaj ha deciso di salire sull’altalena che possono utilizzare disabili ma non solo.
Dei bambini più grandicelli di Ritaj hanno spinto il pesante manufatto che ha iniziato a oscillare. La bambina era in piedi, all’improvviso ha perso l’equilibrio ed è scivolata (non caduta come era stato ipotizzato in un primo momento) dal sedile finendo a terra. Non ha fatto in tempo a rialzarsi che l’altalena l’ha colpita alla nuca e al volto in modo violento. Caricata sull’elicottero, il viaggio della speranza è finito ancora prima di arrivare in ospedale.
Francesco Donadoni