Bergamo, 9 novembre 2019 - Al centro dell’inchiesta Tribe c’è Luca Triberti, 46 anni, sposato, imprenditore con casa in centro, barca ancorata in Toscana (sequestrata come l’appartamento), già coinvolto in un’altra indagine su indebite compensazioni. I finanzieri lo hanno arrestato ieri mattina e ora è in carcere. Con lui il commercialista, consulente tributario attivo sulle piazze di Milano e Monza Brianza, Fabio Premi, 57 anni, originario di Erba, e Giuseppe Monachello, 74 anni, di Canicattì: al momento non è stato ancora rintracciato. Ai domiciliari Natale Bacis, 64 anni, di Verdellino, commercialista, e Davide Tinè, originario di Saronno, 37 anni. Sono 15 le perquisizioni in abitazioni, studi commerciali e sedi di società dislocate tra Bergamo, Milano, Monza e Brianza, Sondrio, Venezia e Varese.
Il provvedimento di arresto, firmato dal gip Marina Cavalleri, su richiesta del sostituto procuratore Emanuele Marchisio, rappresenta l’epilogo di una articolata indagine condotta dal Nucleo di polizia economico finanziaria sulle cause del fallimento di una società, la Jd service, operante nel settore della ristorazione e gestione delle mense, e che ha visto coinvolte 19 persone indagate a vario titolo per bancarotta fraudolenta, riciclaggio, autoriciclaggio e false compensazione di crediti d’imposta. L’operazione delle Fiamme gialle è stata possibile anche grazie al curatore fallimentare, il commercialista Stefano Mecca, tragicamente scomparso a settembre nell’incidente aereo a Orio al Serio, in cui ha perso la vita anche la figlia di 15 anni. Mecca ha posto in luce la totale inattendibilità delle scritture contabili e la falsificazione dei bilanci al fine di mantenere l’accesso al credito bancario.
Da accertamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali, servizi di osservazione, acquisizione di testimonianze, indagini finanziarie e riscontri documentali, i militari hanno raccolto una serie di elementi che hanno portato alla luce un sistema finalizzato alla sistematica spoliazione di realtà imprenditoriali portate al fallimento. In particolare, per quanto riguarda la Jd Service, è emerso che il dissesto presenta dimensioni importanti: al 31 agosto 2017 il passivo era pari a 36.361,023,86 milioni, di cui circa 4,5 nei confronti di molti degli ex 767 dipendenti e circa 17 nei confronti dell’Erario.
Le investigazioni delle Fiamme gialle hanno svelato almeno tre metodi distrattivi in danno alle casse societarie: il pagamento all’amministratore di compensi per circa 1 milione, a dispetto della situazione di dissesto in cui versava l’impresa; l’effettuazione, in assenza di corrispettivo, di prestazioni in favore di altre società riconducibili sempre all’amministratore di fatto della fallita, per altri 2 milioni; e, in ultimo, la corresponsione ai due professionisti, anch’essi raggiunti da misura cautelare, di circa 5 milioni, contabilmente giustificati come pagamento di imposte, che però non venivano versati all’Erario, grazie a false compensazioni, ma restituiti all’imprenditore della società fallita. Complessivamente le indagini hanno consentito di accertare distrazioni per circa 10 milioni di euro.
Nel corso delle intercettazioni è emersa la volontà dell’imprenditore al centro delle indagini di eseguire rilevanti investimenti all’estero nel settore dei parchi giochi-avventura, campo nel quale la sua famiglia aveva già maturato una pregressa esperienza in provincia di Bergamo, alla Minitalia di Capriate San Gervasio. Al fine di ostacolare la tracciabilità del denaro, parte delle somme distratte sono state trasferite sui conti correnti esteri intestati a società anch’esse fittizie con sede in Croazia, Slovacchia, Slovenia e Svizzera.