FRANCESCO DONADONI
Cronaca

L’ultimo grido di Sharon al suo assassino che l’accoltella a morte: “Perché? Sei un codardo, sei un bastardo”

Omicidio Verzeni a Terno d’Isola, i verbali choc di Moussa Sangare: “Se lei mi avesse spintonato, probabilmente sarei andato via”. L’ossessione per i coltelli e l’immaginario del cinema sci-fi: “Come Jarvis. Ho seguito l’onda, sapevo che qualcosa sarebbe successo”

Sharon Verzeni e Moussa Sangare, reo confesso del suo assassinio

Sharon Verzeni e Moussa Sangare, reo confesso del suo assassinio

Bergamo, 5 settembre 2024 – “Sei un codardo, sei un bastardo”. Le ultime parole di Sharon, sono urla in faccia all’assassino e accompagnano la domanda disperata che resterà senza risposta: “Perché?”.

Moussa Sangare rimette in ordine quegli istanti. A verbale: “Nel momento in cui mi sono avvicinato a Sharon sapevo che volevo accoltellarla. Se lei mi avesse spintonato, probabilmente sarei andato via”. Quattro fendenti. Sharon trema, sanguina: è stata colpita a morte.

La richiesta d’aiuto

Attraversa via Castegnate, si aggrappa a una cancellata e con il cellulare chiama il 118: “Mi ha accoltellato”. Sono le 00.52 tra lunedì 29 e martedì 30 luglio, la notte del delitto di Terno d’Isola. Perché Sharon Verzeni? Perché il suo cammino ha incrociato la traiettoria del trentenne Moussa, in carcere (trasferito da Bergamo a Milano San Vittore) con l’accusa di omicidio volontario aggravato da futili motivi e premeditazione.

L’interrogatorio di convalida è un racconto crudo, violento. Si mescolano i tratti della personalità del killer, le ambizioni musicali (i due provini a X-Facror, le sue esigue entrate dalle canzoni rap), l’immaginario del cinema sci-fi e dei polizieschi, l’ossessione per i coltelli, la droga (“Ho assunto in passato eroina, mdma”, le “canne” con gli amici in studio, spacciava anche “fumo”), i viaggi negli Usa e Inghilterra. Un caleidoscopio in cui confluiscono i molteplici volti di Moussa. O Moses, il soprannome che usa “da quando mi hanno detto che il mio nome significa Mosè. Moises o Moussa significano entrambi Mosè”.

Quella sera è in bici. Incrocia Sharon. “Indossava i jeans e aveva le cuffiette nelle orecchie. A quel punto l’ho seguita da dietro, l’ho toccata sulla spalla con la mano sinistra e le ho detto “scusa” per quello che stava per succedere. Ha iniziato a tremare, urlare. La prima coltellata l’ho data al petto e il coltello è rimbalzato. Lei stava scappando, sono sceso dalla bici, l’ho rincorsa e l’ho colpita alla schiena più volte, tre, quattro. Non l’ho rapinata perché mi è venuta la para…”.

Moussa indossa gli occhiali, un berretto di lana sotto un cappellino con la visiera. Dopo l’agguato rimonta in sella e si allontana. “Sono passato in mezzo ai campi dove non c’erano telecamere” (la ricostruzione denota estrema lucidità nella scelta della via di fuga). Gli cade il berretto di lana e torna a recuperarlo: non vuole lasciare tracce. Il coltello lo butta nei prati: “Poi sono tornato indietro a prenderlo”. Arrivato a casa, a Suisio, “sentivo un miscuglio di sensazioni. Sono rimasto scioccato, mi sono chiesto perché non stessi piangendo. Allo stesso tempo mi sentivo libero, pensavo che roba, sul divano ho sentito una specie di comfort. Sono uscito con amici, abbiamo fatto una grigliata”. Il giorno dell’omicidio aveva i capelli lunghi: “Li ho tagliati due giorni dopo. Ho fatto sparire tutto in caso venissero a chiedermi informazioni”. Frase a verbale: “Questo è il mio primo omicidio”.

I coltelli, un’ossessione.

“Fanno un po’ paura perché se ti scivolano via ti fai male. I coltelli sono belli, oltre a quelli da cucina non ne ho altri, mi piacerebbe comprarne uno a scatto. Pratico tiro al coltello: è difficile tirare perché devi guardare quante volte gira. La notte dell’omicidio non avevo il coltello in mano, ma nella cintura dei pantaloni, dietro la schiena. Era per questo che ero chino a pedalare. Quando sono scappato l’ho messo nello zaino. A casa l’avevo lasciato sotto il divano. Ho fatto un sacchetto in cui ho messo il coltello usato per il fatto, altri nel fiume. Volevo tenerli come ricordo, un souvenir. Volevo tenerlo a memoria”.

Dice al pm, Moussa: “Ha presente il film Jarvis?”. Jarvis è un personaggio Marvel, il maggiordomo di Tony Stark-Ironman e degli Avengers, ma è anche l’intelligenza artificiale che supporta i supereroi. “Jarvis... È come se dovessi fare qualcosa, ho seguito quell’onda senza sapere dove stavo andando, sapevo che qualcosa sarebbe successo”.

Tra le citazioni c’è il film Upgrade: il protagonista, vedovo e paralizzato dopo una rapina violenta, viene rimesso in piedi grazie alla tecnologia e scatena la sua vendetta. “Sensazioni come quelle di quella sera le sento quando mi sento in pericolo. Quindi sento di dovermi preparare”. Infine, la passione per i polizieschi (“Non è tutta fantasia”) e i programmi tv sulle storie vere di cronaca nera: “Sono interessato anche ai casi dove l’assassino utilizza i coltelli”.

Durante la perquisizione gli è stato trovato in tasca un biglietto. Moussa Sangare aveva annotato un episodio cruento accaduto nel 2021: un cittadino nigeriano che aveva accoltellato la moglie a Venezia. Perché?