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Sharon Verzeni (uccisa a 33 anni nella notte tra il 29 e il 30 luglio 2024 a Terno d’Isola) con il compagno Sergio Ruocco: la coppia stava pensando al matrimonio
Bottanuco (Bergamo) – Bruno Verzeni esce dalla villetta di via Adda a Bottanuco. Un sorriso gentile. La barba candida di sempre. Lo sguardo della persona profondamente buona. Un altro giorno eterno per convivere con il dolore per la figlia che gli è stata strappata in una serata assurda di fine luglio di sette mesi fa.
Signor Verzeni, martedì vedrà in tribunale l’assassino di Sharon.
“Spero di non vederlo. Non mi incute niente, ma preferisco non vederlo di persona”.
Per lui prova odio?
“No, niente odio”.
Come sono stati questi mesi?
“Mesi di meditazione per interiorizzare tutto”.
Sergio, il fidanzato di Sharon, è sempre con voi?
“Sì. Abbiamo perso una figlia. Abbiamo trovato un altro figlio”.
Da dove le viene tanta forza?
“È una grazia”.
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L’ultimo sms di Sharon
Richiude la cancellata. Attraversa il grande prato che lo separa dall’abitazione. Cammina con il suo carico di pensieri, ricordi, rimpianti. Ultimo ricordo, un sms inviato da Sharon alla mamma: “Attenta alle scale mobili”. Questo per ricordarle un infortunio che aveva avuto. Il compleanno di Sharon – 33 anni – festeggiato il primo sabato di luglio e c’erano tutti, anche i nipoti. Verso la metà di agosto Sharon sarebbe partita per una vacanza in una località sul Mar Egeo con Sergio Ruocco, una relazione sentimentale che durava 16 anni, da tre vita in comune in un appartamento a Terno d’Isola. Era pronto l’anello che Sergio le avrebbe regalato in vacanza con la proposta di matrimonio.
“Perché Sharon?”
Due giorni prima dell’omicidio, Bruno e la moglie Maria Teresa partono per la Sardegna. La telefonata di Melody, l’altra figlia, li raggiunge a Cagliari. Il primo volo è a mezzogiorno. Un terribile ritorno. La casa stretta d’assedio da giornalisti e telecamere. La vicinanza, l’affetto di tutta la comunità di Bottanuco, Bruno ha lavorato per tanti anni all’anagrafe del Comune, è impegnato nel volontariato parrocchiale. Tante domande che cercano una risposta. Perché? Perché proprio Sharon? Perché tutto questo? Così per tutto quel mese interminabile.
L’attesa, l’arresto, il dolore
Fino alla mattinata del 30 agosto, quando viene comunicato il fermo di Moussa Sangare: il 31enne ha colpito Sharon con quattro coltellate nella notte tra il 29 e il 30 luglio prima di scappare in bicicletta, nascondere l’arma, rinchiudersi in casa a Suisio. In quegli attimi drammatici, emergerà dalle indagini, Sangare le ha sussurrato: “Scusa per quello che sta per succedere”. Un mese dopo, nel giorno della verità tanto dolorosamente attesa e alla fine conquistata, pochi minuti dopo le due e mezzo di un afoso pomeriggio, Bruno Verzeni attraversa il prato, si avvicina al cancello accompagnato dalla moglie e dai figli Melody e Christopher. “È un comunicato, poi basta”. Quel “basta” racchiude tutti i giorni di ansia e dolore, a cui si sono aggiunte altre amarezze. La voce è commossa: “A un mese dalla morte di nostra figlia la notizia di oggi ci solleva, anche perché spazza via tutte le speculazioni fatte sulla vita di Sharon e Sergio. Vogliamo che l’assurda e violenta morte di Sharon non sia vana e provochi una maggiore sensibilità in tutti al tema della sicurezza del nostro vivere. Ci affidiamo a Dio per aiutare noi e Sergio a convivere con il nostro dolore e con il pensiero di quello che nostra figlia ha subito in questi momenti”.
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La prima udienza del processo
Martedì si apre il processo in Corte d’Assise (presidente Patrizia Ingrascì, a latere il giudice Alberto Longobardi): la famiglia Verzeni si costituirà parte civile. A Sangare è contestato l’omicidio aggravato da futili motivi e premeditazione, oltre che dalla minorata difesa. Il suo avvocato, Giacomo Mai, potrebbe chiedere la perizia psichiatrica: “Questo ragazzo ha problemi – aveva detto dopo la richiesta del pm – Credo che per avere un giusto processo il suo stato vada approfondito”.