Milano, 18 luglio 2024 – La serie Netflix sull’omicidio di Yara Gambirasio ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica la vicenda riguardo la ragazza di 13 anni che scomparve da Brembate di Sopra la sera del 26 novembre 2010. Il fatto di cronaca nera, che fin da subito occupò le prime pagine dei giornali nazionali e non solo, ha portato con sé innumerevoli polemiche dall’inizio delle indagini, per aumentare sempre più con il passare del tempo e con il lavoro di chi ci mise mano. Tra chi ha lasciato una firma significativa sulle indagini della morte di Yara c’è sicuramente Letizia Ruggeri, la pm che fin da subito assunse l’incarico.
A distanza di anni, oggi sappiamo che Ruggeri è indagata per frode processuale e presunto depistaggio ma l’udienza è stata rinviata al 24 luglio, tra meno di una settimana, dopo che davanti al gip di Venezia, la difesa di Massimo Bossetti si è opposta alla richiesta di archiviazione da parte della Procura. Ma chi è la pm del caso, oggi al centro delle polemiche?
La pm del caso di Yara Gambirasio, Letizia Ruggeri
Letizia Ruggeri è nata a Milano il 27 maggio 1965 e nella stessa città ha conseguito la laurea in giurisprudenza alla Università Statale: vince nel 1993 sia il concorso per commissario (4000 candidati per 100 posti) sia quello per magistrato (20.000 candidati per 300 posti, di cui solo 255 superarono l’esame). Rimane nel capoluogo lombardo per un breve periodo presso la Polizia aerea di Linate prima di diventare sostituto procuratore ad Agrigento dove si occupa di omicidi di mafia e dei cosiddetti ‘stiddari’ (coloro che fanno parte di un’organizzazione di stampo mafioso attiva ad Agrigento, Caltanissetta e Ragusa).
È il 1999 quando lascia la Sicilia e viene trasferita a Bergamo ed è qui che si occupa dei casi di omicidio, fino a che non arriva sulla sua scrivania il caso di Yara Gambirasio, una svolta per la sua carriera professionale.
Il team scelto da Ruggeri
C’è chi lo ricorda e chi ha dovuto rispolverare la memoria con le immagini del documentario Netflix ma era frequente, durante le lunghissime fasi che hanno preceduto l’arresto di Massimo Bossetti, vedere i giornalisti fermare il pm Ruggeri fuori dal tribunale o anche in ambienti informali e assediarla di domande alle quali lei rispondeva sfuggente per non lasciar trapelare nessun indizio sulle indagini in corso. Ruggeri non rilasciava interviste e non aggiornava nessuno, al difuori del suo ufficio, sugli sviluppi: l’indagine che lei ha portato avanti e le piste che ha seguito sono state complesse, spesso criticate e indubbiamente dispendiose.
Più volte la pm ha detto, anche ai genitori di Yara, di essersi affidata ai migliori professionisti in Italia per risalire al dna dell’Ignoto 1 e più volte, come confermato dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo, ha dichiarato di non badare a spese pur di arrivare alla risoluzione del caso.
Il processo a Massimo Bossetti
Il 16 giugno 2014, dopo quasi quattro anni da quella sera di novembre in cui Yara non fece ritorno a casa, Massimo Bossetti, un operaio edile di Mapello, viene arrestato. Il suo dna risulta compatibile al 99,99999987% con quello di Ignoto1, ovvero il dna ritrovato su una porzione degli slip di Yara.
Il processo ha inizio il 3 luglio 2015 e il primo luglio dell’anno successivo arriva la sentenza di condanna di primo grado all’operaio edile: durante la requisitoria, il pm Ruggeri non ha mai guardato in faccia Bossetti e ha impiegato due giorni per allineare ogni indizio che, oltre il dna, portavano alla possibile colpevolezza dell’imputato come la compatibilità di orari e luoghi nel momento della scomparsa della giovane ragazza, aver fatto su Internet ricerche pedopornografiche e avere un furgone con sedili che perdevano le stesse fibre (stessa composizione e stesso colore) che sono state trovate sulla parte posteriore degli abiti di Yara.