“Questa è una sentenza folle, una cosa gravissima: da domani potremmo dire che Gesù è morto di freddo”. Sono queste le durissime parole che Claudio Salvagni, avvocato di Massimo Bossetti – l’uomo condannato all’ergastolo per aver ucciso la giovane Yara Gambirasio – ha espresso contro la decisione della Corte di Cassazione di impedire esami invasivi ai reperti legati all’omicidio. Per Enrico Pelillo, uno legali della famiglia della ragazza uccisa, quella della Cassazione è invece “decisione ineccepibile dal punto di vista del diritto e del buon senso”.
La decisione
Al termine di un saga giudiziaria durata quattro anni, la quinta sezione penale della Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso “straordinario” degli avvocati Salvagni e Paolo Camporini, legali di Bossetti, in cui chiedevano un’analisi approfondita dei campioni di Dna e degli abiti di Yara, tra cui gli slip e i leggings che aveva la momento della scomparsa. Nessuna analisi approfondita quindi, ma solo un esame “esterno”, una presa visione di quegli elementi di prova che hanno portato alla condanna. Quei reperti, insomma, non potranno neanche toccarli.
Eppure nel novembre 2019 la stessa Cassazione – il massimo organo giurisdizionale – aveva ammesso l’analisi dei reperti come previsto da una precedente decisione della Corte d’Assise di Bergamo, che doveva ritenersi “irrevocabile, valida, vigente, intangibile e non può essere in alcun modo discussa”.
Le parole del legale
Ed è proprio questo che contesta l’avvocato Salvagni: La Cassazione inizialmente ci dà ragione e oggi fa marcia indietro e questa è una grave violazione del diritto, a mio giudizio. O il provvedimento del 27 novembre scorso 2019 è un falso storico oppure oggi è stato stravolto il diritto perché è stato permesso che una ‘nota’' interna possa modificare un provvedimento ufficiale. È come se un giudice emette una sentenza e cinque giorni dopo decide di cambiarla, non è possibile oppure si sconfina nell'arbitrio”.
Attesa per le motivazioni
In attesa delle motivazioni sulla decisione (i tempi dovrebbero essere rapidi), Salvagni non esclude di rivolgersi alla Corte di giustizia europea: “Posso tornare a rivolgermi al tribunale di Bergamo e chiedere dopo 5 anni di analizzare nuovamente i reperti, ma dopo il ‘no’ che ho ricevuto lì è piuttosto plausibile pensare che quella autorizzazione non è nemmeno nel ventaglio delle possibilità. Più ricevo dei ‘no’ e più mi convinco dell'innocenza di Bossetti e della necessità di tenerci lontano da quei reperti, ma io non mollo”.