Bergamo – Grazie Presidente. Vorrei parlare di giustizia. Non solo dell’abuso d’ufficio, di cui pure dirò. Partendo da una ricorrenza evocativa. Quarant’anni fa, in questi giorni, Enzo Tortora veniva arrestato e precipitava nell’incubo che ha rovinato la sua vita e quella della sua famiglia. Conoscete la vicenda. Uno degli uomini più popolari d’Italia si trovò trasformato in un mostro, accusato da due camorristi di essere un sodale di Raffaele Cutulo, un trafficante di droga e di armi. Era totalmente innocente, ma questo non gli risparmiò sette mesi di carcere, più di un anno ai domiciliari, una condanna di primo grado a dieci anni di reclusione, e il massacro operato – con pochissime eccezioni – da tutti i mezzi di informazione.
La storia di Tortora colpisce, ma non è certo la sola. Penso a quella di Giuseppe Gulotta, condannato all’ergastolo e detenuto per 22 anni prima di essere scagionato. E ad altre ancora. Ma restando a Tortora, ciò che meno si ricorda è come, partendo dalla sua esperienza, si fece combattente politico per una giustizia giusta, per tutti. Con il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, che raccolse l’80,5% di “sì”, o la battaglia in favore delle vittime di malagiustizia. “Battaglie – ammoniva – che riguardano la libertà e la dignità degli esseri umani, riguardano la civiltà di un paese”.
Purtroppo il “caso Tortora” non ha cambiato la giustizia italiana, e neppure il suo rapporto con i media. Lì siamo, se negli ultimi dieci anni i cittadini reclusi in attesa di giudizio sono stati costantemente il 35 per cento dei detenuti, contro il 22 della media europea, e più di 12 mila sono stati assolti o prosciolti negli ultimi 3 anni dopo essere finiti in carcere da innocenti. E se un giudizio penale continua a durare il triplo la media europea. E se il tasso di sovraffollamento delle carceri – che in Italia è mediamente del 119% - raggiunge in Lombardia il 151, con punte del 184 a San Vittore e del 178 nel carcere di Bergamo. E se in un solo anno, nel 2022, ben 84 detenuti si sono suicidati negli istituti penitenziari italiani.
E se tante persone, in molti casi nemmeno toccate dalle indagini, vengono ogni giorno infangate sui giornali e nelle tv, prima di qualunque sentenza, anche attraverso la pubblicazione di intercettazioni del tutto irrilevanti. Se l’omicidio della povera Giulia Tramontano tracìma sui media attraverso l’oscena pubblicazione delle sue chat private. Se questa è la situazione, io penso, semplicemente, che il Partito Democratico dovrebbe essere in prima fila per una giustizia diversa e più giusta, e innanzitutto in difesa dell’art.27 della Costituzione, che fissa un principio fondamentale dello stato di diritto: la non colpevolezza dell’imputato fino a sentenza definitiva.
Veniamo da un trentennio in cui la vicenda personale di Silvio Berlusconi, protagonista di decine di processi e di una reiterata strumentalizzazione della funzione legislativa a proprio personale vantaggio, non ha facilitato il procedere di una riflessione ancorata ai principi garantisti sanciti dalla Costituzione. Ma adesso Berlusconi non c’è più, adesso è il tempo di fare un passo. Di fronte a proposte che non sono perfette, ma che segnano un cambiamento, nella direzione auspicata anche da Enzo Tortora, noi non ci possiamo fermare solo ad un riflesso dettato dal nostro essere all’opposizione del governo Meloni. Abbiamo il dovere di ragionare nel merito. Sono perciò grato a Elly Schlein per questa occasione di confronto. Non entro nel dettaglio delle singole misure proposte.
Dico solo che in un Paese in cui si fa un uso abnorme della carcerazione preventiva, pare appropriato che si introducano misure volte a limitarne l’applicazione. E che di fronte alla pubblicazione indiscriminata di intercettazioni e conversazioni private, anche quelle più irrilevanti, un argine a me pare opportuno, e non lo chiamerei bavaglio. E così per l’inappellabilità delle assoluzioni di primo grado, limitatamente ai reati meno gravi. Per evitare che si ripeta ciò che è accaduto a Carolina Girasole, sindaca di Isola Capo Rizzuto, costretta per sette anni a difendersi dall’accusa – falsa – di voto di scambio con la ‘ndrangheta, e nel frattempo triturata dalla macchina del fango. Infine l’abuso di ufficio. Su questo punto condivido l’opinione della grande maggioranza dei sindaci del Pd, che da anni si battono per l’abrogazione del reato.
A tutelare i cittadini ci sono molte altre norme penali che definiscono e puniscono con precisione i singoli reati contro la Pubblica Amministrazione: corruzione, peculato, turbativa di appalti, omissione di atti d’ufficio, ed altri. C’è chi all’abolizione preferirebbe una revisione in senso restrittivo: è anche la posizione ufficiale dell’Anci. Ma quel reato è stato ridefinito già due volte, dal primo Governo Prodi – ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick – e nel 2020, e non ha funzionato. Le procure penali hanno continuato ad utilizzarlo a piene mani, salvo registrare un numero infimo di condanne: 27, nel 2021, su 5.418 imputazioni, l’1,1 per cento.
Più di 5 mila persone che hanno visto compromessa la loro reputazione, senza motivo. Senza contare che la paralisi delle amministrazioni, che ne deriva, peggiora la qualità dei servizi, principalmente a danno dei ceti più deboli. Ecco dunque. Mi piacerebbe che la sinistra, il Pd in testa, si riappropriasse della vocazione garantista che ha caratterizzato la sua storia fino a Tangentopoli e a Berlusconi. Abbiamo l’occasione per fare un passo in questa direzione, io spero che si faccia. Vi ringrazio. Giorgio Gori