di Lorenzo Pardini
Bergamo, 29 agosto 2012 - L'highlander, uno degli ultimi reduci dell'Italbasket dorata, quella splendida formazione che per due volte, nel 2003 e nel 2005, salì sul tetto più alto d'Europa, è pronto per il suo ultimo esame: la Paralimpiade di Londra 2012. Fabio Raimondi, fresco quarantenne (li ha compiuti il 19 agosto), dal 1983 a causa di una neoplasia alla colonna vertebrale è costretto a stare sull sedia a rotelle.
Fabio, quando ha iniziato a giocare con la palla a spicchi?
«A 14 anni e due anni dopo ho debuttato in nazionale. Dopo la mia operazione, ho iniziato ad andare in un centro di fisioterapia per fare un pò di ginnastica riabilitativa e li sono venuto a conoscenza di questo sport».
Le è piaciuto subito il basket?
«Si, mi ha preso fin dall'inizio. Alla mia epoca non era come oggi che è pieno di discipline per disabili, infatti c'erano pochi sport di squadra».
Siamo all'alba della sua seconda Paralimpiade. Era più emozionato ad Atene o lo è adesso per Londra?
«Ad Atene ero più emozionato. Eravamo reduci dalla vittoria dell'Europeo di Sassari dell'anno precedente, ma la nazionale non si qualificava ad una Paralimpiade da vent'anni e per questo motivo avevamo addosso una pressione enorme. Comunque in Grecia ce la siamo giocata e siamo arrivati 6°. Adesso per i Giochi di Londra siamo tranquilli, perchè siamo più consapevoli delle nostre forze e di quello che possiamo dare in campo. Questa è la mia ultima possibilità e so che posso fare bene».
Lei nella sua carriera con l'Italia ha vinto tantissimo: oro agli Europei del 2003 e 2005 e ai Mondiali del 2010 ottimo 4° posto, che cosa ha provato per tutti questi traguardi?
«In questi anni ho vinto tanto e mi sono tolto diverse soddisfazioni. All'inizio, nel 2003, non ci credevo nemmeno, poi ho incominciato ad abituarmi a questi traguardi. Al Mondiale siamo arrivati 4° anche perchè ci sono nazioni come Usa e Canada, che essendo più grandi dell'Italia, hanno un bacino di scelta di giocatori maggiore rispetto a noi e sono più forti».
Come si sta preparando per le sfide che lo attenderanno al North Greenwich Arena?
«È da settembre che mi alleno. Quest'anno abbiamo svolto 9 raduni con la nazionale. Negli ultimi due mesi abbiamo fatto diversi stage a Roma di 5-6 giorni presso il centro Olimpico Acqua Acetosa. Ci alleniamo due volte al giorno per un totale di 6/7 ore di attività. I nostri allenamenti sono come quelli dei normodotati, infatti facciamo schemi, tiri e anche preparazione fisica, soprattutto irribustiamo le braccia, se no quando tiriamo non ci arriviamo al canestro».
Vi sentite in lizza per una medaglia?
«È rischioso dire che vinceremo una medaglia, non voglio essere scaramantico, ma il nostro obiettivo è di qualificarci per i quarti di finale. Nel girone c'è la dovremo vedere con Spagna, Usa, Turchia, Sud Africa e Australia. Ad Atene ci siamo gestiti male e abbiamo pagato lo scotto di essere alla prima Paralimpiade. Questa volta saremo più pronti e dovremo fare come un motore diesel, partire piano per ingranare partita dopo partita, qualificarci e così arrivare carichi ai quarti, quando iniziano le partite decisive».
Facendo i dovuti scongiuri, se per caso riusciste a mettervi al collo l'ambita medaglia, a chi la dedicherebbe?
«Non lo so.. Innanzitutto a me stesso per tutti i sacrifici che ho fatto in questi anni per arrivare pronto a questo appuntamento, poi a chi mi ha permesso di arrivare dove sono adesso e soprattutto al mio datore di lavoro che mi da l'opportunità di fare tutto questo. Quando non gioco, sono il testimonial per una ditta che costruisce ausili per i disabili».
La vedremo anche a Rio de Janeiro 2016?
«Per l'età anagrafica non credo. A 44 anni non posso competere con i 20enni, se non sono al top della condizione fisica, preferisco non gareggiare e lasciare spazio ai giovani».
Quando smetterà, continuerà a seguire il basket in carrozzina?
«Certo, la mia intenzione è di fare l'allenatore. La Federazione ha rilasciato a tutti i giocatori che hanno vinto l'Europeo il patentino di 1° livello per allenare la Serie B. Quest'anno ho già avuto un'esperienza da coach perchè il nostro tecnico aveva rescisso con la società prima della fine del campionato e siccome mancavano solo 60 giorni al termine della stagione, ho fatto il giocatore-allenatore.. è stata dura».
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