Milano, 27 novembre 2024 – Con 48 milioni di persone colpite nel mondo, di cui 600mila solo in Italia, l’Alzheimer si sta affermando come una delle principali cause di disabilità, con proiezioni che indicano una progressiva crescita, anche in relazione all’invecchiamento della popolazione. L’Italia,dal canto suo, ha messo in campo importanti risorse finanziarie, che ora possono essere investite promuovendo la sinergia tra la sanità pubblica, l’assistenza socio-sanitaria e sociale e la ricerca scientifica che, negli ultimi anni, ha fatto importantissimi passi avanti dal punto di vista diagnostico-terapeutico, dell’innovazione e della tecnologia. A Brescia, al convegno “Nuove sfide per il disturbo cognitivo. Traiettorie da esplorare” si sono confrontati clinici, esperti, stakeholders e rappresentanti delle istituzioni, tutti concordi sul fatto che i sistemi regionali siano chiamati a nuove sfide e sia arrivato il momento di dare risposte, traducendo raccomandazioni e suggerimenti in azioni concrete.
Medici in prima linea
La ricerca scientifica ha affrontato numerose sfide nel corso degli anni, con significativi investimenti, perseverando sull'importanza dell’innovazione tecnologica per la diagnosi precoce, per il trattamento delle fasi iniziali della malattia e sull’importanza della riabilitazione cognitiva al fine di contrastare, su molteplici fronti, la progressione della malattia sin dalle sue fasi iniziali. Alla luce di queste considerazioni, emerge come prioritaria la necessità di una collaborazione sinergica tra il Servizio sanitario nazionale e i sistemi sanitari regionali per favorire uniformità di percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali dedicati alle persone con disturbo neurocognitivo con l'obiettivo di garantire diagnosi precoce e tempestiva per una presa in carico integrata, multidisciplinare e continuativa.
I dati (allarmanti) lombardi
In Lombardia, le persone con diagnosi di demenza sono circa 190mila, di cui 115mila malate di Alzheimer. A queste vanno aggiunte almeno 160mila persone che si stima siano interessate da un declino cognitivo lieve. Le statistiche dimostrano che agendo sui fattori di rischio e sui corretti stili di vita, si può ridurre l’incidenza delle patologie neurodegenerative. Un’analisi dell’Asst di Brescia, ad esempio, ha preso in analisi i dati dal 2003 al 2019, rilevando un aumento assoluto del numero dei casi (da 6.766 nel 2003 a 17.856 nel 2019) dovuto all’invecchiamento della popolazione, ma anche una riduzione dell’incidenza, passata da oltre 3 casi ogni mille abitanti nel 2011 a 2 ogni mille nell’ultimo anno considerato. “Con un miglior controllo dei fattori di rischio e degli stili di vita – ha spiegato Alessandro Padovani, direttore della Clinica Neurologica, Università degli Studi di Brescia e presidente della Sin –la Società italiana di neurologia – a parità di persone che si ammalano, c’è una riduzione dell’incidenza. Questo dato si riscontra in molti Paesi, e sottolinea l’importanza della prevenzione”.
La tendenza
Delle 160mila persone con declino cognitivo lieve, secondo le stime, oltre 50mila risiedono in provincia di Milano, 19mila in provincia di Brescia, quasi 17mila a Bergamo. E poi: 14mila e 500 a Varese, 13.800 in provincia di Monza e Brianza, 9.600 a Como, 9.000 a Pavia, 6.600 a Mantova, 5.900 a Cremona, 5.500 a Lecco, poco più di 3000 in provincia di Sondrio. I soggetti over 65 con demenza, secondo le stime, sono così suddivisi nelle province lombarde: 18.381 a Bergamo, 22.044 a Brescia, 11.347 a Como, 7.118 a Cremona, 6.492 a Lecco, 3.855 a Lodi. E poi: 8.061 a Mantova, 62.242 a Milano, 16.078 Monza e Brianza, 11.115 a Pavia, 3.551 a Sondrio, 17.489 a Varese. Questi numeri sono destinati ad aumentare considerando il progressivo invecchiamento della popolazione registrato negli ultimi anni.
Consigli di prevenzione
Ma quali sono i consigli di prevenzione per ritardare e rallentare un eventuale Alzheimer? Il “Centro Alzheimer” di Brescia ha individuato sei categorie, che hanno tutte per comune denominatore il concetto di “vita sana e ricca di relazioni sociali”. In cima alla lista c’è l’attività fisica, in particolare attività aerobica, come corsa, camminata veloce, bicicletta, ma anche ballo amatoriale, tai-chi e arti marziali; smettere di fumare per riportare il rischio di sviluppare la malattia a un livello equiparabile a quello dei non fumatori (il fumo al contrario aumenta considerevolmente questo rischio); prendersi cura del proprio cuore sia attraverso esami di prevenzione sia attraverso uno stile di vita che tenga lontani malattie cardiovascolari, ictus, infarti; seguire ovviamente una dieta sana, che com’è noto, prevede un consumo ridotto di carni, fritti e insaccati, la preferenza per verdure,frutta, cereali e pesce ricco di Omega 3 e, come condimento l’olio d’oliva.
Le virtù dello zafferano
Aglio e cipolla non vanno dimenticati. Ma anche le spezie fanno bene. E c’è un “alleato” che può dare una mano: lo zafferano. Ricco di antiossidanti, ricerche recenti hanno dimostrato che il consumo di zafferano favorisce la degradazione della proteina beta-amiloide, proteina tossica principale indiziata di causare la malattia di Alzheimer. Per Antonio Orlacchio, direttore del Laboratorio di neurogenetica del Centro europeo di ricerca sul cervello (Cerc) dell'Irccs Santa Lucia di Roma e professore di Genetica medica all'Università di Perugia, lo zafferano ha un enorme potenziale neuroprotettivo. “Questo perché la spezia contiene potenti antiossidanti e molecole bioattive, quali crocine e crocetine. Così nel nostro studio abbiamo trattato cellule immunitarie di 22 pazienti, uomini e donne con la forma più diffusa di Alzheimer e un quadro di declino cognitivo, con un componente attivo dello zafferano, la trans-crocetina. I nostri dati suggeriscono che dallo zafferano si potrebbe dunque ricavare in futuro un farmaco anti-Alzheimer”.
Ultimo ma in realtà primo consiglio del “protocollo” contro l’Alzheimer è quello di avere un’appagante vita sociale: amicizie, relazioni, affetti, la frequentazione di circolo ricreativi o sportivi sono tutte attività che contribuiscono a prevenire la degenerazione dell’attività cerebrale.